Sciarrino è sempre stato portavoce di quella teoria che cerca di formulare nuove ipotesi sulla musica attraverso un cambiamento di prospettiva della materialità degli strumenti: se nell’interpretazione risaputa della musica colta gli strumenti hanno da sempre dato vita a dei suoni controllati dagli uomini nei quattro elementi essenziali della musica conosciuti da egli (armonia, melodia, ritmo e timbro), nell’interpretazione dei contemporanei post-1950 gli strumenti devono acquisire una propria emancipazione dall’individuo che li suona, devono essere espressione di una “incomprensibile” teoria dell’essere, fatta di suoni ricercati nel timbro che siano in grado anche di riprodurre l’anima degli oggetti inanimati. Sciarrino, attraverso i suoi studi, ha cercato una vocalità negli strumenti musicali che non passasse dai canali tradizionali, ma doveva essere cercata in oasi acustiche che fossero in grado di scandagliare i timbri più reconditi per dare la prova di esistenza di quel linguaggio apparentemente senza significato. E la sua ricerca è realmente ancora oggi in evoluzione.
Sciarrino: String quartets
La Kairos pubblica questa raccolta di “String quartets” che rappresenta oramai il settimo cd dell’etichetta discografica austriaca dedicato al compositore italiano: la collezione di musica finora imbastita su Sciarrino ben rappresenta l’operato del compositore nel suo complesso e questo settimo inedito discografico si apprezza come uno dei più “duri” dell’artista (dal punto di vista dell’estetica dell’ascolto) sebbene ci consenta di scoprire le visioni di Sciarrino sul violino in particolare; quest’ultimo poteva utilmente essere ascoltato in composizioni come “Allegoria della notte” (tratto da “Orchestral works“) o anche in “Codex purpureus” (tratto da “Lo spazio inverso“), ma l’operazione dello string quartets, un tipo di composizione su cui si sono affermate le migliori prerogative della musica classica nel tempo, è materiale organico per tracciare un vero e proprio profilo evolutivo dell’artista. Nelle note di copertina (come sempre ben curate) la morfologia dei brani è preceduta da un suo splendido saggio (disponibile anche sul suo sito internet) in cui si pone interrogativi proprio sull’utilità del quartetto d’archi, dove l’autore paventa il timore di una composizione che possa essere spazzata via dal vento inesorabile dello scorrere del tempo che costruisce il sepolcro dei nostri ricordi.
Partendo dagli insegnamenti di Beethoven, Sciarrino ne individua le nuove coordinate: i violini hanno una loro “vocalità” che può essere messa a nudo e che passa attraverso l’utilizzo di una marea di microtonalità e di estensioni della tecnica, in modo da riprendere il dialogo che avevano nella classicità; ma è chiaro che si tratta di qualcos’altro, di esperimenti di suono che tendono a privilegiare sensazioni specifiche: lontano dai suoi “Capricci per solo violino” (eclettici ed urgenti strumenti di virtuosismo contemporaneo vissuti con lo spirito del Paganini) e diversamente dalle dissoluzioni provocatorie delle sue “Stagioni Artificiali“, questi quartetti sono una riesposizione del contrasto tra uomo e materia, che solo in apparenza potrebbe appartenere agli uomini: si impone soprattutto nel lungo “Quartet n. 8” e nei “Sei quartetti brevi” dai suoni acuti completamente addensati in una zona microtonale dei violini che sembra dare origine ad un cinguettio che richiama inevitabilmente il mondo animale, condotto in un silenzio che viene sferzato ogni tanto da improvvise manifestazioni di presenza del comparto non violinistico. “Quartet n. 7” è più vario, meno avvizzito sulla ricerca dei suoni, e partendo da una linea semplice di rimembranza classica, impone un andamento quasi lamentoso, molto espressivo, che spesso si rifugia in spettacolari suoni acuti (forse una modalità del pianto?) con il resto degli archi che sembra voler dar conforto al solista con linee ariose e glissando che si ripetono a cascata; come afferma Sciarrino nelle note “…..volevo infatti evitare l’aspetto virtuosistico insito nel concetto stesso di competere, percorrendo la tradizione intima e declamata che Beethoven ha inaugurato nei suoi Adagi…”.
Un ultimo plauso va agli esecutori del progetto, il quartetto Prometeo, la cui competenza fu già oggetto di un premio specifico all’ultima Biennale di Venezia.