Il processo di associazione di idee ed immagini proveniente dall’ascolto della musica contemporanea spesso mette in dubbio l’esattezza del percorso mentale seguito dal nostro intelletto di fronte all’ascolto: se è vero che questo processo suscita pensieri in ogni caso (sia quando non abbiamo punti di riferimento e quindi dalla musica ricaviamo le immagini, sia quando queste immagini sembrano esserci (es. una rappresentazione scenica)), è anche vero che noi ricaviamo idee che spesso, partendo da un soggetto e/o oggetto, portano la nostra mente verso determinate e libere associazioni con la musica. E’ quello che il compositore berlinese Enno Poppe (1969) si propone di servire agli utenti con la musica: nelle note interne di questa sua nuova raccolta su Kairos R., Bjorn Gottstein, sottolineando l’evoluzione tecnica delle composizioni, rimarca come Poppe abbia espressamente riconosciuto l’associazione libera della musica su un tema od un oggetto ben preciso, senza fossilizzarsi sul tema o sull’oggetto stesso, andando oltre il carattere descrittivo e cercando nuove e libere evoluzioni di pensieri. Se in linea di massima l’affermazione è condivisibile, in realtà nasconde un’altra considerazione altrettanto importante, che consiste nel fatto che la capacità di formare un’immagine o un pensiero tratto dalla musica ascoltata è tanto più centrata e veritiera quanto più la capacità di associazione orecchio/mente è sviluppata, cosa che succede tipicamente nei più esperti fruitori della musica di quel tipo. Attuale leader della scena berlinese, Poppe qualche anno fa, creò una prima dimostrazione del teorema appena esposto: prendendo in considerazione uno degli autori della corrente poetica della beat generation, Williams Burroughs, con “Interzone” (chiaramente tratto da una raccolta dell’autore statunitense) cercò di sistemare letteratura (con lettura di testo), musica (con 6 voci spezzettate e un ensemble allargato) e immagini (con quattro maxischermi piantati attorno ai musicanti e visibili al pubblico) in un ambizioso prodotto di associazione. Il costrutto che Poppe vuol creare è quello di una mano originale che regola le asperità del linguaggio con la voglia descrittiva, lavora sulle possibilità armoniche degli strumenti e sui melismi della voce in un binario che ha la presunzione di sistemare la mancata logica tra ordine e caos. E’ un linguaggio frammentato dove il compositore si impegna a trovare nuove relazioni con scale microtonali, non solo inserendole nella partitura, ma modificando gli strumenti direttamente per ottenere nuove proporzioni (qui l’organo ad esempio è manipolato per ottenere miglioramenti nei suoni, ma se ascoltate un brano come Rad (non presente in questo cd) sarete di fronte ad una composizione per due keyboards già preparate ed ondeggianti nei risultati); ma se mettiamo da parte microtonalità e melismi, troviamo (in Schrank e Salz) anche un compositore capace di impegnare a turno le capacità dei musicisti degli ensembles utilizzati, nella contrapposizione ancestrale della modernità classica, tra linea melodica e completa atonalità (vedi i movimenti VI. e VIII. di Schrank), in un dialogo “umanizzato” riversato nelle partiture (e conseguentemente negli strumenti), attraversato dal mistero creato dalle note singole accennate o decomposte, dai silenzi volontariamente appostati che evocano (almeno nella mia immaginazione) frammenti da perdita di coscienza che si alternano con momenti caratterialmente più densi, evocati dall’uso dei microtoni sulle corde. E su queste basi che si potrà liberamente apprezzare l’ottima “Salz” in cui si riassumono tutti gli aspetti della personalità artistica di Poppe.