Riguardo al teatro di Beat Furrer vanno compiute almeno due considerazioni preliminari: la prima riguarda la concettualità della musica e l’altra l’afflato letterario.
Furrer è già da tempo che si impegna in una sorta di condensazione di tutte le arti collegate alla musica (poesia, letteratura, impianto scenico, etc.) nell’ascolto. A differenza della stragrande maggioranza delle opere teatrali del momento, che insistono su uno sviluppo visivo, mediatico e costruito in aggregazioni, l’opera di Furrer cerca di suscitare già nella musica tutte le sensazioni e le vibrazioni che le varie componenti attigue possono creare (da un testo ad un gesto). In questo difficoltoso ma nobile compito, l’ascoltatore dovrebbe teoricamente carpire i concetti tramite i vari stati umorali della musica, magari solo affidandosi ad un embrionale conoscenza del libretto e degli argomenti. Tutto il resto (immagini visive, recitazione, etc.) potrebbero essere null’altro che rafforzativi.
Quanto allo sviluppo dei temi letterari il compositore austriaco attinge da un impianto filosofico variabile nella dimensione temporale ma che spesso si concentra sul novecento della sua nazione: gli autori presi in considerazione nei suoi progetti hanno quella caratteristica comune che molta critica letteraria riconosce agli autori austriaci del novecento, ossia quella della sofferenza, vista come un surrogato dell’accettazione della nazione agli orrori degli eventi bellici della guerra.
“Wustenbuch“, opera composta nel 2009, si insinua nella riflessione depressiva del deserto come luogo senza luogo, specchio dell’insoddisfazione umana: partendo da frammenti dal Libro del Deserto della scrittrice Ingebor Bachmann integrati con scritti di Machado, Lucrezio e del papiro egizio Berlin 3024 (quello in cui si parla della contesa tra l’uomo e il suo Ba), si ricompone una storia che vede le distese di sabbia come il posto prediletto per la riflessione esistenziale; dalle dichiarazioni di Furrer sembra che egli voglia attribuire anche un senso costruttivo allorchè parla di deserto come luogo utile anche per le ripartenze; è la musica che deve svelare i segreti dell’anima e, in mancanza di una rappresentazione scenica, il mio giudizio sul Wustenbuch musicale è monco. Se chiudiamo gli occhi alla ricerca delle sensazioni dei libri di Bachmann o delle massime interpretative del papiro egizio, non dobbiamo andare molto lontano. Quello che è importante per Furrer è la giusta contrapposizione tra musica, canto e recitazione: una correlazione che egli vorrebbe finalizzare in un suono amorfo e psicologico, come quello (usando le sue parole) di una persona in una casa di vetro.
Completano il quadro di questa ulteriore raccolta della Kairos tre pezzi da camera:
ira-arca è uno studio sulle forme Inca: composto recentemente, il pezzo è per contrabbasso e flauto basso ed è consegnato nella mani di due grandi specialisti della materia: Uli Fusseneger ed Eva Furrer: la deformazione è decisamente rispettosa di uno spirito musicale popolare (che in qualche modo la storia ci ha consegnato tramite delle strane misure) in cui minuziose sono le procedure di composizione e le tecniche contemporanee non convenzionali a supporto. Dopo che il flauto ha introdotto l’argomento facendoci naturalmente galleggiare nel tema con una “barca Inca contemporanea”, la composizione gradatamente si sposta su un impostazione più aderente agli schemi occidentali; da notare come il contrabbasso svolga una doppia ed indispensabile funzione, ossia quella di supporto tematico e di spazio percussivo.
Lied, per violino e piano (Vladislav Pesin e Mikhail Dubov gli esecutori), è un surrogato confessionale: il piano detta poche note feldmaniane mentre il violino remore della storia e di Schubert, fornisce folate di decadenza e di imbarazzante candore.
Aer, per piano, clarinetto e violoncello, tende alla compressione e al nichilismo sonoro: è deliberatamente anonimo, e pur avendo somiglianze con certe produzioni di Lachenmann, ne è lontano per la costruzione complessiva, tesa all’emersione di improbabili organismi che si manifestano con tutt’altri bioritmi.
Note:
vi segnalo nelle note interne un’ottima biografia del compositore fatta da Peter Oswald