C’è un gruppo di musicisti canadesi che incorpora perfettamente un modo di sentire l’improvvisazione che è frutto di una direzione sentimentale del vissuto, una proficua via artistica post-moderna che attribuisce un valore alle religioni, alle arti e ai costumi, senza proclamarne un’alterità: ciò che guida i sentieri dell’esperienza umana è reversibile nell’atto esecutivo. Si parte da una semplice relazione tra osservazione e atto creativo per arrivare all’attribuzione di un potere mediatico dell’espressione, ad un sodalizio teorico e spirituale che guida la novella dell’arte da secoli, compreso quella musicale.
Due registrazioni a sostegno degli assunti.
La prima verifica da fare è su Alom Mola del percussionista Michel Lambert. L’aggregazione (a cui ci si riferiva prima) risucchia i due fratelli Coté (Pierre al contrabbasso, Michel ad una sfilza di fiati e strumenti tradizionali), la moglie di Michel (la cantante Jeannette) e un ensemble da camera (i due violini di Geneviève Liboiron e Alexander Lozowsky, Jean Christophe Lizotte al cello, Nicolas Lessard al contrabbasso, Alexandre Grogg al piano e Jennifer Thiessen all’alto); la prima impressione che ricaverete è l’unione di una caratteristica formale consueta della musica del batterista canadese con un’altra appena aperta: da una parte la realtà del “frammento”, dall’altra la presenza dell’organico camerale è un segno inequivocabile dell’intenzione di arricchire la musica di ambientazioni distanti dal jazz. Lo stravolgimento che se ne ricava tra variabili musicali così in conflitto tra loro è allo stesso tempo la chiave di volta del lavoro e della sua capacità di creare una corrispondenza tra la musica e il sentimento che i musicisti condividono per l’arte emersa e per le abitudini e le consacrazioni di un popolo; ma non vi aspettate di ascoltare suoni familiari o retorici in questo percorso di composizione-improvvisazione. La novità è che Lambert utilizza tutti i mezzi, antichi e nuovi (dai balzelli barocchi alle trame sussurrate del jazz, dagli scostamenti infedeli della classica agli indefinibili tragitti degli strumenti etnici), al fine di elaborare una forma più prosaica di struttura miniaturistica, che possa coagularsi con una ricerca personale degli elementi emotivi fondamentali dei soggetti/oggetti artistici esaminati. E’ come cercare di fornire informazioni a plurima risposta ai fini di un’appropriata catalogazione della rilevanza delle opere o degli artisti di cui si cercano convivenze: per Caravaggio ténèbres e lumières, ad esempio, il drumming frammentato in più pezzi e le poliedriche discorsività create dai Coté e dall’ensemble, sono mezzi irrimediabili per affacciarsi nelle zone più o meno luminose dei quadri dell’autore italiano, nella potenza dei contrasti dei suoi dipinti, ma anche nella scoperta della cupa portata dissacratoria del pittore. Si tratta di mettere musicalmente assieme Motian e Roach davanti ad un pò di cool jazz, ad un triste andamento violinistico classico e a qualche linea estemporanea di strumenti atipici del Centro-sud africano.
Una chamber music astrusa e spiazzante è quella che si presenta all’evidenza dell’ascolto: nella title track, chiaramente sbilanciata nel pensiero costitutivo alle leggende del Popol Vuh (il testo degli antichi abitanti dello Yucatan), non c’è niente di mistico; è una tessitura percussiva di Lambert che si unisce ad una presa camerale atonale con tanto di clavicembalo a confondere le impostazioni; al contrario Les Cahiers de Barcellona (dove viene omaggiata la sensibilità e l’arte spagnola) restituisce tutt’altra ambientazione sonora: le corde snocciolano prototipi di danza e di canto tipici, le dissonanze limitate e il clima celebrativo tonale può essere solo interrotto da un rifinitura anomala di batteria, basso e maikotron affidata a Lambert e ai Coté. Lidi contemporanei avvolgono Mille Huit Fenetres (un omaggio al padre psichiatra che ospita anche archetipi di tecniche non convenzionali) mentre Musique du temps du reve, interiorizza il canto haiku-jazz senza forza di Jeannette con una tessitura piano-batteria in possesso di una forza di perspicacia difficile da trovare. In definitiva, quindi, un cammino avant? Certamente, forse ci sono da mettere in cantiere ulteriori sviluppi (gli strumenti etnici sono ancora un contorno sporadico), ma già questo stadio di compresenze è super apprezzabile.
Lambert partecipa naturalmente anche ai progetti del sassofonista alto Francois Carrier. E ovviamente continua l’esperienza russa in trio con Alexey Lapin. “Freedom is space for the spirit“, ultimo cd per la FMR, richiama temporalità ed umanesimi della musica che forse non sono più disponibili, ma la bellezza e la bravura di questo trio è sempre evento che mi fa piacere sottolineare. Registrato dal vivo all’Experimental Sound Gallery di S.Pietroburgo il 29 maggio 2014, è un’ennesima dimostrazione di come percepire in maniera diretta quell’emozione senza retorica del jazz, quando è ricco di prospettive, visioni e rappresentazioni ben congegnate. Fraseggi repentini e climax ripetuti danno sfondo ad un concerto che cresce di valore in proporzione, dando il massimo nelle aperture spasmodiche di Happiness not for Sale!, nel ricordo risultante da un connubio tra un night-club ed un auditorium in Nevsky Prospect e nelle plurime sfaccettature dei 23 minuti di Land of Paradoxes. Il legato incredibile e la forza espressiva di Carrier, il piano tenero, dreamy ed introspettivo di Lapin, nonchè i ricami a corrente alternata di energia di Lambert, sono qualità che solo in questo trio possono essere pienamente accertate. Mi ripeto: arte musicale astratta allo stato puro.