Per Lucia Ronchetti, compositrice di origini romane nata nel ’63, il teatro musicale (e tutte le forme variamente collegabili) resta una disponibilità emotiva a cui non deve fare difetto la ricerca. Gli orizzonti sui quali la Ronchetti ha costruito la sua osservazione sono prospettive pluridisciplinari, in cui il baricentro dell’analisi si colloca essenzialmente su due elementi: l’attenzione sulla partitura e l’impianto drammaturgico a sostegno; Action music pieces, la raccolta di composizioni appena pubblicata su Kairos, di fatto può considerarsi il vol. n. 2 di Drammaturgie, il cd monografico che l’etichetta austriaca aveva pubblicato sulla Ronchetti nel 2012, opere in cui si percepisce in maniera chiara l’esplorazione fittissima dei testi letterari e musicali da parte della compositrice, ma con l’avvertenza ulteriore che la disponibilità con la quale la Ronchetti presenta i suoi temi è ben lontana da qualsiasi fredda, accademica interposizione con il lato emotivo che suoni, canto o comportamenti in scena devono considerare. Action music pieces si compone di 5 pezzi che vogliono ridare fiato a quell’asfittico concetto di immobilità dei musicisti (e degli ascoltatori) in una sala da concerto: Ronchetti approfondisce con le sue idee quanto si è cominciato a vedere nei teatri con l’avvento del concettualismo fluxus di Cage, dell’empasse sardonico di Kagel o poco più in là temporalmente nelle strane evoluzioni di Aperghis, Sciarrino o Battistelli: l’esecutore può diventare un’attore, danzatore, recitatore e tanto altro; la Ronchetti ha carpito tali potenzialità, ma per il suo sviluppo ha premuto sul carico drammaturgico, fornendone una propria caratterizzazione (molto interesse viene dal periodo barocco). Ciò significa che anche nelle commissioni strettamente strumentali, la compositrice inventa una tipologia di “movimentazione”: l’introduzione di Le Palais du silence, una composizione relazionata ad un invito commissionale dell’Ensemble Intercontemporain, è sintomatica per il fatto che il trio dei percussionisti dell’ensemble francese va ad interessarsi percussivamente di un pianoforte aperto al suo interno e disponibile all’acustica delle sue parti fisiche; assieme al pianista e ad un’orchestra perfettamente funzionale allo scopo (Matthias Pintscher alla direzione), i tre si occupano di mettere in pratica una serie di accorgimenti concreti, ossia suonare sulle corde, o in maniera viva o stendendo dei teli che ne smorzano la forza acustica, nonché riprodurre suoni sotto la pancia del piano. Le Palais du silence è una composizione per un balletto pensata, ma mai scritta, da Debussy, un qualcosa che la Ronchetti ha voluto ripescare attuando la sua strategia: un Debussy che appare e scompare, con citazioni sviluppate ad arte per evitare qualsiasi plagio sconsiderato ed un’alternanza con le scoperte della contemporaneità, che nel caso specifico si organizzano per dare un valore al silenzio.
In Helicopters and butterflies, lo speculatore di gioco di Dostoevsky è l’ispirazione letteraria per costruire un set in cui il percussionista (Christian Dierstein) si coagula in una dimensione locativa che dà importanza ai suoni con cui si potrebbe vivere le situazioni rischiose della novella del poeta russo: Dierstein si muove in mezzo ad una sorta di ponteggio, circondato da un sound object del tutto speciale, fatto di un tavolo da roulette, un divano, scatole ed oggetti vari che si ritrovano in casa e percussioni sparse (tra quelle tradizionalmente intese un rullante mobile e un gong laterale); la prestanza drammaturgica si avverte anche in Lacus Timoris, un pezzo per solo timpanista, costantemente con la testa e l’orecchio chinato sui timpani, il quale si sintonizza con l’entità “paura” o “timore” allo stesso modo di un medium musicale, aiutato dalle citazioni di Lascia ch’io pianga od Ombra mai fu nel Trionfo del Tempo e del disinganno di Handel, dalla marcia funebre di Chopin e l’adagietto della quinta di Mahler. Sono pezzi in cui tutto funziona, che propongono un sagace effetto musicale, particolarmente avvezzo al transfert immaginativo. La bravura e la differenziazione funzionale degli esecutori è materia che si avverte anche in Forward and downward, turning neither to the left nor to the right, una composizione per solo violoncello, affidata a Michele Marco Rossi, che sposa la mitologia di Teseo e Arianna in una partitura che è anche una sorta di happening, una scena in cui il violoncellista si occupa anche di produrre movimento corporeo, recitazione, percussività incidentale ottenuta sul set tramite oggetti e strumento (tipicamente sedie e tecniche estensive).
Ribadisco l’assoluto valore della compositrice italiana e non solo per le aperture creative accertate nell’opera corale o nel teatro musicale, capace di approfondire senza tedio le drammaturgie antiche o moderne: la sua musica, presa a sé stante, ha una sua forza oggettiva, è difficile e discreta, ma raffinata e direi persino sensuale; ancora oggi, composizioni come Tremblements de tendresse (con un’esecuzione che ho scoperto casualmente sulla rete internet), che incorporavano il primo interesse della compositrice per la musica da camera e che sono state parzialmente accantonate (incorporate) a favore dell’azione scenico-musicale, sono meraviglie da consigliare alle nostre orecchie.