In contrasto con l’idea oramai stereotipica di un Sol Levante rigidamente inquadrato e Zen, Toshio Hosokawa (1955) è sempre andato perpetuando una poetica espressiva fortemente contrastata: una visione del suono naturale – e della natura sonorum – come di una “selva aspra e forte” entro cui la ruvidezza degli elementi viene levigata dall’autore soltanto quel poco che basta