Bobby McFerrin rimarrà agli annali della storia musicale per aver approfondito la tecnica “beatboxing”, cioè quella tecnica che tende, con la voce umana, a riprodurre fedelmente gli strumenti ritmici (batteria, basso, percussioni, ecc.), spingendosi, ad un certo punto, anche sugli strumenti più tradizionali, quelli che di regola non sviluppano ritmicità (basti pensare a trombe, chitarre, ecc.).
Il suo album “The Voice” registrato dal vivo (1984), con un buon coinvolgimento del pubblico presente, lo ha imposto all’attenzione di pubblico e critica: McFerrin pareva un nobile ed aggiornato continuatore di un filone in uso a molti cantanti jazz degli anni sessanta e settanta; McFerrin si divideva tra brani più avanguardisti (nella tradizione di Jeanne Lee per esempio) e brani più popolari (nel solco del cantante Al Jaurreau), offrendo un reale elemento di novità. Poi, dopo un’altro bell’episodio “Spontaneous Inventions”, con affondi nel vocalese jazz, l’artista ha cominciato ad esplorare il mondo della musica classica e dell’etnico, senza però attivarsi dal lato compositivo, lasciando che le sue qualità parlassero da sole, in un contesto di repertorio direi decisamente abusato. L’artista, nei suoi pochi album dei novanta, ha anche tentato di recuperare gli esordi jazz concentrandosi sulle evoluzioni della sua voce, senza riuscirci però: si trattava di una proposta fusion scontata e senza pretese. Il recupero completo dell’artista passa invece dalle preziosità tecniche del Vocal Summit in “Sorrows is not forever”, supergruppo di vocalisti (oltre a McFerrin, ospita Jeanne Lee, Jay Clayton, Ursula Dudziak, Lauren Newton) e da “Circlesongs” del 1997, che finalmente restituisce l’artista intelligente di “The Voice”: qui si comincia ad esplorare meglio anche il mondo della musica etnica con accenti posti soprattutto sulle sonorità africane. Dopo “Beyond words”, un’ennesimo tentativo di collegare le nuove istanze “wordl” al suo debole passato fusion, esce a quattro anni di distanza questo “Vocabularies” che riprende e amplia il raggio d’azione degli ultimi lavori (si spazia tra Africa e America Latina), fa tesoro dell’esperienza vissuta nel mondo della musica classica e si concentra in generale sui cori con lunghi brani in cui il suo vocalese costituisce l’ossatura del brano. L’obiettivo ambizioso di costruire un disco cosmopolita con una impronta personale riesce solo in alcuni episodi come “Wailers”, “Messages” e “Brief Eternity” dove più forte si rivela la composizione.
Discografia selezionata:
-The voice, Elektra, 1984
-Spontaneous Inventions, Blue Note, 1986
-Sorrows is not forever – Love is, Moers Music 1994
-Circlesongs, Columbia, 1997