Robert Rich passerà alla storia per almeno due buoni motivi: il primo è che stato il primo musicista ad aver organizzato “sleep concerts”, ossia concerti in cui il pubblico viene invitato ad addomentarsi sperimentando il flusso organico scaturente da poche linee musicali ben ripetute e costruite; il secondo è che il suo album “Somnium” del 2002 (proprio uno dei suoi betsellers del “sonno”) deve considerarsi il disco più lungo della storia in assoluto con le sue sette ore di durata.
Rich non è mai stato interessato a far musica nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto era interessato agli effetti che la stessa potesse provocare nell’uomo. Seguace delle teorie della “just intonation” di La Monte Young, della “deep listening” di Pauline Oliveros (vedi un mio post precedente sul minimalismo) e del concretismo, era convinto del potere terapeutico della musica, considerandola come un tutt’uno biologico con l’uomo: attraverso la musica era possibile esplorare reconditi spazi della nostra psicologia, anche quelli più difficili ed oscuri. Il percorso musicale di Rich parte dalla musica ambientale, ma è un percorso piuttosto particolare dell’ambient music: i suoi pezzi sono lunghi cammini di ipnosi alla ricerca di una specie di trance indotta dalla musica: “Sunyata”, “Drones” (tra cui spicca “Seascape”) e soprattutto “Trances” (con le due magnifiche suite “Cave Paintings” e “Hayagriva”) consegnano alla musica contemporanea un originale artista che partendo da una semplice base di droni costruisce delle suites dettagliate, elimina quel senso di sterile “stasi” che spesso accompagna le creazioni dei musicisti del suo genere, aggiunge una sensazione profonda di compenetrazione temporale dell’argomento trattato. “Numena” amplia la gamma delle soluzioni stilistiche con un primo embrionale avvicinamento alle tematiche della musica cosmica di Schultze e alla world di Hassell: notevolissimo è “The other side of twilight”. “Geometry” lo impone come musicista ambient di rango con chiarissime influenze provenienti dalla corrente minimalista classica.
Rich è innamorato delle forme architettoniche di Gaudì perché vicine al suo modo di concepire l’arte: se la musica ci trasporta in una dimensione variabile in quanto organismo vivente, anche le costruzioni che hanno queste caratteristiche fanno parte di questo universo in movimento: non ci sono solo calcoli matematici da prendere in considerazione ma anche qualcosa che va oltre la fisicità di una serie di “mattoni”. Gli dedica quindi un disco in uno stile più semplice e meno sofisticato di “Geometry”, ma sempre facendo attenzione allo svolgimento del brano e all’emersione di particolari sonori di originale bellezza.
I lavori successivi di Rich cercano di entrare più a fondo nelle tematiche post-world: sotto questo profilo oggi Rich viene ricordato dalla stampa specializzata proprio per questi lavori, tra i quali si sottolineano quello per la campagna ambientalistica di “Rainforest”, il primo vero approccio alla new age e alla world music che ricostruisce la storia delle foreste pluviali e il loro probabile declino per mano dell’uomo attraverso un delicato intreccio di elettronica ambientale e percussioni ritmiche; quello di “Propagation”, un album sulla stessa lunghezza d’onda di “Rainforest” ma che esalta lo sviluppo delle forme “organiche” in tutte le vie possibili, e il più ricercato “Seven Veils”, ispirato interamente alla cultura araba e ad alcuni dei suoi simboli principali: la partecipazione di David Torn e Forrest Fang, unita ad un efficiente uso del drumming, ne fanno una delle prove migliori di Rich, che tenta una ricostruzione della musica world, o meglio della post-world sancita da Hassell e fatta con gli elementi musicali di cui si è sempre cibato.
Sempre in questi anni sono da ricordare le due splendide collaborazioni con Steve Roach, ossia “Strata” (un piccolo esercizio di surrealismo ambientale con dedica a Salvador Dalì) e “Soma” (la bevanda a base di piante utilizzata per la comunicazione con le divinità), e poi anche quella più “oscura” con B. Lustford per “Stalker”.
L’ultimo decennio dell’artista lo ha visto impegnarsi in molte produzioni, ma è innegabile che con il crescere della discografia, affiorino lavori meno importanti: in particolare l’artista americano colpisce con il suo progetto “Somnium” (che per la sua lunghezza record è stato pubblicato come DVD Video), con il suo disco solista al piano “Open Windows”, che riflette la predisposizione dell’artista verso i pianisti eterei della prima parte del novecento (Gurdjeff, Satie, Hovhaness) e con alcuni lavori che sono una sintesi del suo passato musicale, come succede nei recenti “Electric Ladder” o “Music from Atlas Dei”.
Le note di copertina di “Ylang”, suo ultimo lavoro discografico, chiariscono che Ylang proviene da ylang ylang, un’albero in fiori che cresce nel sud Asia, con una misteriosa fragranza che incarna elementi di ombra e luce, eros e gnosi*, terra e cielo…..qui Rich ripropone il suo senso poliritmico che aveva tralasciato per più di un decennio, per un disco che solo a tratti riesce però ad avere un livello pari a quello dei suoi più blasonati album degli anni novanta.
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Nota:
Nota:
*gnosi deriva dal greco e significa conoscenza, da intendersi come conoscenza pervenuta al sapiente per vie divine.
Discografia consigliata:
-Trances/Drones, Soundscapes Productions 1983 ristampato Extreme Records nel 1994
-Numena/Geometry, Multimud/Spalax, 1991 ristampato Fathom nel 1997
-Rainforest, Hearts of space,1989
-Strata, Hearts of space, 1990 (con S. Roach)
-Gaudì, Hearts of space, 1991
-Soma, Hearts of space, 1992 (con S. Roach)
-Propagation, Hearts of space 1994
-Seven Veils, Hearts of space 1998
-Somnium, Hypnos 2001 (forse non sarà il miglior disco di Rich dal punto di vista musicale in senso stretto, ma è sicuramente il suo disco più “scioccante”; non so se ce la farete ad ascoltare questo “colossal” del sonno di sette ore, dovreste sottoporvi anche Voi all’esperimento di Robert!!!!…, comunque ho notato che esiste una versione ridotta di circa un’ora sui siti musicali che vendono download di mp3 a pagamento)
-Open windows, Soundscapes Productions, 2004