Le scuole italiane dopo il barocco musicale

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Fonte Opera propriaRete Civica Città di Osimo Autore Bruno Severini, licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported, no change was made

 

L’Italia ha rivestito un’importanza cruciale per la musica colta almeno fino agli albori dell’Ottocento: è stata determinante per lo sviluppo del canto gregoriano e poi polifonico, per la musica sacra rinascimentale, ha costituito la prima vera aggregazione di virtuosismo musicale nell’epoca barocca grazie alla scuola dei violinisti. La storica progressione stilistica che caratterizzava la musica fino a quel momento, autorizzava a pensare per sole aree geografiche nelle quali evidenti erano le uniformità stilistiche e le capacità tecniche dei musicisti/compositori: i compositori dell’epoca del barocco si influenzavano tra di loro, e ciò che li distingueva erano sfumature compositive o invenzioni “tecniche” (es. il contrappunto di Bach), così come succedeva nell’arte. Nel 1601 l’Orfeo di Monteverdi era stata la prima vera rivoluzione musicale avvenuta con caratteri tali da essere rimarcati per altri due secoli: un principio era chiaro, l’”opera” sarebbe diventata l’essenzialità nel paese del “bel canto” e della “melodia”. I musicisti del classicismo musicale percorrono due direzioni: da una parte quella dei virtuosi dello strumento che si rifanno nelle influenze ai maggior compositori italiani del barocco (Corelli, Vivaldi, Locatelli, ecc) e mi riferisco a Paganini (1782), M.Clementi (1752), Boccherini (1743); dall’altra, quella frutto dell’evoluzione dell’opera lirica e del melodramma italiano che subisce un ulteriore impulso nel periodo Romantico grazie ad autori come Rossini (1792), Bellini (1801), Donizetti (1797), Verdi(1813). E le nostre peculiarità dov’erano? L’epopea del romanticismo italiano impone una considerazione più profonda del consueto, soprattutto nella fase temporale matura del movimento, che stimola molti paesi europei alla creazione di scuole di pensiero nazionali basate su elementi che danno largo spazio anche alle proprie identità nazionali, identità che viaggiano insieme alle proprie culture e tradizioni popolari. L’Italia, dopo secoli di prestigio musicale frutto dell’attività dei grandi musicisti “barocchi”, in grado di restituire all’arte solarità, tecnica e bellezza estetica come risorse tipiche (in una coniugazione di artisti di varia provenienza geografica, da Napoli a Venezia), ne trovò un altro: l’evoluzione della lirica italiana accentuò in maniera ambigua i suoi caratteri artistici; l’incalzare nei teatri e nelle opere del melodramma è una variabile che dà un successo incredibile di consenso, ma che costituisce anche uno dei “livelli” più popolari che la musica classica abbia mai toccato; su questo punto vi sono ancora oggi posizione critiche, anche di accademici che si oppongono alla folta schiera di studiosi che invece ha visto (e continua a vedere) nel melodramma lirico italiano una fonte inesauribile di ricchezza artistica. Personalmente ritengo che se da un lato i nostri compositori avevano grandi doti di scrittura (penso alle meravigliose Ouvertures di Rossini o alla Requiem di Verdi), dall’altro il loro talento veniva compromesso e piegato ai “voleri” dei gusti del pubblico e degli impresari dei teatro: una sorta di circolo vizioso a cui non erano totalmente immuni nemmeno gli altri paesi europei.
Con l’avvento dell’impressionismo soprattutto francese, anche l’Italia, attraverso i suoi migliori rappresentanti, tentò di modificare le regole e renderle più mature, ma al solito il pubblico non gli tributava lo stesso successo che invece regalava alle opere di Puccini (1858), Mascagni (1863) o Leoncavallo (1857): la generazione dell’80, così chiamata perché i compositori che vi facevano parte erano tutti nati in prossimità o nel decennio 1880-1890, comprendeva alcuni tra i migliori artisti italiani mai esistiti: Respighi (1879), Malipiero (1882), Alfano (1876), Pizzetti (1880), Casella (1883), cercarono allo stesso tempo di elevare lo stato della lirica e rinfrancare il valore artistico della composizione, dedicando più attenzione a fattori musicali che non a quelli del “bel canto”.
Il compositore più innovativo ed “obbliquo” fu però Busoni (1866) che proiettava i suoi istinti “classici” in un moderno linguaggio che fosse anche aperto al futuro e alle evoluzioni sugli strumenti: oggi l’artista è continuamente oggetto di rivalutazione da parte della critica e dei musicisti che riscoprono il suo intenso repertorio.
Fenomeno di nascita italiana fu anche la composizione che si indirizza alla colonna sonora dei films: in tal senso è pionieristico il lavoro di Rota (1911) e Morricone (1928) che hanno creato un proprio standard musicale (direi stile “cinematografico”) prelevando dalla musica classica quello che serviva per un arricchimento anche “evocativo” delle immagini.
Agli inizi del Novecento si fa strada anche in Italia la teoria della scuola viennese di Schoenberg grazie a Dallapiccola (1904), mentre Scelsi (1905), incredibile compositore che nel suo cammino elaborerà una propria concezione musicale di tipo “spirituale” (frutto della conversione al buddismo), fatta di movimenti statici, senza forma, con effetti musicali singolari dovuti esclusivamente alle dinamiche acustiche: concentrandosi sulle variazioni timbriche degli strumenti (che sconfina nella micro tonalità) e basandosi sull’uso approfondito delle tecniche di risonanza, Scelsi crea un effetto “estatico”. L’artista spezzino sarà tra i principali riferimenti del rinnovo che la composizione subisce nel post seconda guerra per effetto dell’avvento delle avanguardie: oltre a lui avremo Nono (1924), con il suo mondo etereo e crepuscolare, fatto di silenzi, ombre, inquietanti riverberi e di immensa ricerca, Berio (1925), letteralmente “saccheggiato” dalle generazioni successive di musicisti che trovavano nelle “sequenze” per strumenti dell’artista italiano l’enciclopedia del suono del Novecento, in un autore che usa le tecniche non convenzionali per offrire al mondo musicale un nuovo percorso di sviluppo dei suoni; e poi ancora Donatoni (1927), Bussotti (1931), e tanti altri.
L’arricchimento della composizione italiana contemporanea viene completata da Sciarrino (1947), autore che riveste un carattere del tutto particolare per via delle modalità surrettizie che attribuisce alle sue composizioni: in tutta la sua carriera (ancora in evoluzione) proietta le sue ricerche in zone franche della composizione, lavorando su più fronti: indagine timbrica, cattura dei sensi acustici, concretismi vocali da poter spendere in un ambito di suoni da redimere (si giunge nello spazio dei suoni musicalmente e psicologicamente rifiutati).
Tra i nuovi compositori del secondo novecento sembra non esserci poi una grande spinta al multistilismo (il più aperto alle varie influenze è Valentini (1967)) che invece è dominante nel resto del mondo; d’altra parte continua le avanguardie si arricchiscono di contenuti grazie ai lampi di genio di compositori come Battistelli (1953) o Francesconi (1956), entrambi direttori della Biennale di Venezia, o Gervasoni (1962). Abbastanza isolati i casi di musicisti che aderiscono al minimalismo classico (Milesi (1953), Sollima (1962)) o che sposano i dettami new-age di tipo neoclassico (Einaudi (1955)).

Discografia minima consigliata:

Muzio Clementi, Gradus ad parnassum, op 44, Box 4 cd, Arts Music/ Complete orchestral works, D’Avalos, Spada, Brillant classics.
Luigi Boccherini, String quintets, Minuet in A/Europa Galante, Biondi, Virgin Veritas/Guitar quintet/String quartet, Europa Galante Biondi, Virgin V./Symphonies, Chandos
Niccolò Paganini, 24 caprices, Perlman, EMI
Gioacchino Rossini, Ouvertures, Chailly, Decca
Giuseppe Verdi, Messa da Requiem, Abbado, Emi
Ferruccio Busoni, Fantasia contrappuntistica, Milne, Hyperion/ Concerto per pianoforte (the romantic piano concerto vol. 22),Hamelin, Hyperion
Ottorino Respighi, Roman trilogy, Ormandy, Sony/Piano works, Scherbakov, Naxos
Gian Francesco Malipiero, Piano Concertos 1-6, Variazioni senza tema, Saarbrucken RSO, Cpo R./Complete string quartets, Orpheus String q., Brillant Classics
Alfredo Casella, Sinfonia per Orchestra, Op. 63; Italia, Op. 11, WDR, Cpo R.
Franco Alfano, Cello sonata, Concerto for violin, cello e piano, Magill, Dunn, Darvarova, Naxos R.
Ildebrando Pizzetti, Concerto dell’estate, Naxos/ Orchestral works, Vanska, Helios/String quartets in A major e D major, Layta Quartets, Marco Polo
Nino Rota, The essential Nino Rota Film music collection, Prague Philarmonic Orchestra, Silva
Ennio Morricone, Once upon a time in the west, RCA
Luigi Dallapiccola, Tartiniana, Due Pezzi, etc. Chandos
Giacinto Scelsi, 5 String quartets, String Trio, Khoom, Naive R.
Luigi Nono, Fragmente; hay que caminar, Arditti String quartet, Disques Montaigne
Luciano Berio, Sequenzas, Ensemble Intercontemporain, Deutsche Gramophon
Salvatore Sciarrino, Un’immagine di Arpocrate/6 capricci Per, Orchestra sinfonica della Rai, W.Contemporanea.
Giorgio Battistelli, Experimentum Mundi, Stradivarius R.
Luca Francesconi, Let me bleed, Terre del rimorso, SWR Stuttgart R.S.O., Stradivarius
Giovanni Sollima, Aquilarco, Point/Philips
Piero Milesi, Modi, Cuneiform R.
Ludovico Einaudi, Le onde, BMG Ricordi
Cesare Valentini, Musica da camera, per orchestra, in parte ascoltabili sul suo sito nella sezione “opere”.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.