Coerente nella sua impostazione musicale, Dino Saluzzi (1935) rappresenta uno di quegli artisti che qualsiasi nazione vorrebbe avere: non solo ha elevato il suono del bandeneon (strumento musicale simile alla fisarmonica ma di grandezza inferiore e con diversità nei tasti) ad una vera e propria forma d’arte, ma è stato capace di dargli una posizione dominante all’interno di una composizione, espressività più fulgida di un folklore realmente vissuto ed interiorizzato; qui il suono del Sud America non ha assolutamente implicazioni commerciali, ma vive del suo pieno tessuto storico: nella sua musica sono presenti tutti gli idiomi migliori del suo paese: tango, milonga, candina music, musica popolare argentina, ecc. riassunti in un unico suono, ancora più personale del suo maestro Piazzola, poiché incorpora elementi di sperimentazione che specie agli esordi musicali lo hanno collocato tra quei jazzisti di peso dell’etichetta ECM, nonché spesso per le basi ritmiche e vocali che lo hanno reso unico e riconoscibile; il suo scopo è sempre stato quello di esprimere le cose del mondo con gli occhi di un bambino, con la sua “saggezza”, trasferendo nel bandeneon queste sensazioni.
“Kultrum”, suo primo disco, è probabilmente il suo capolavoro e ci presenta le velleità artistiche di un musicista argentino, con brani dilatati ma riempiti in maniera vitale dal suo bandeneon e dal suo particolarissimo uso ancestrale delle voci e delle percussioni che in un contesto pluriculturale tende ad allargare il suo raggio d’azione anche nei confronti di suoni affini (es. i rituali vocali tradizionali degli Indiani nativi d’America). Questo solitario lavoro viene seguito da “Once upon a time…far away in the south” che stavolta completa il discorso con un quartetto di elevato rango (Mikkelborg, Haden, Favre) che da un’intonazione più jazzistica alle sue tematiche. In questo disco emerge il magnifico contrasto tra il lavoro di Saluzzi e il contrappunto di Mikkelborg alla tromba, spunto che darà luogo ad una collaborazione in tal senso l’anno successivo con il nostro Rava nell’album “Volver”. Poi nell’88 ritorna nuovamente come solista con “Andina” (un omaggio alla cultura andina e all’ispirazione interiore che si trae da quei paesaggi sudamericani) che si presenta musicalmente come il successore di “Kultrum”: l’artista media il suo consueto background folkloristico con un embrionale sviluppo della composizione in senso classico: se ne rinviene esempio non solo dai titoli di alcuni brani chiaramente riferiti agli stilemi classici (toccata, romanza), ma anche dalle modulazioni del suo strumento.
E’ con questi dischi che Saluzzi si è ritagliato il suo meritato spazio all’interno della musica internazionale che conta; con uscite diradate nel tempo, i suoi successivi dischi non fanno altro che confermare lo status di questo splendido musicista, che dapprima esplora il folklore colombiano e la milonga del Ausente, e poi si avvicina sempre più ad una forma di musica jazz da camera, se non proprio contemporanea.
“El encuentro” è il suo disco più “classico” inteso in senso stretto del termine, con l’artista che tenta di esplorare le sonorità del bandeneon al cospetto dei violini e dell’orchestra, così come aveva già fatto nella riedizione per orchestra di Kultrum e nel disco con la violinista Anja Lechner “Ojos Negros”: tuttavia, anche in questi lavori, la composizione è troppo autoindulgente nel riproporre arrangiamenti troppo austeri che rendono alla fine le tematiche troppo pesanti e di prospettiva e purtroppo non fanno emergere la scintillante bellezza ed unicità dei suoi assoli.
Discografia consigliata:
-Once upon a time…far away in the south”, Ecm 1985
-Andina, Ecm 1988
-Cite de la musique, Ecm 1997
-Juan Condori, Ecm 2006