Uno degli aspetti più meritevoli del carattere inglese è quello della “conservazione” delle tradizioni storiche: si può discutere sulla presunta “freddezza” di un popolo che è stato per secoli dominato da regni, contee e reali, ma certamente il patrimonio artistico è sempre stato un motivo di orgoglio a cui non si poteva rinunciare. Questo spirito dell’antico li rinnova continuamente e ancora oggi è vitale nelle nuove generazioni musicali classiche: la musica corale (oratori, messe, requiem), la musica orchestrale (nelle sue varianti sinfoniche e concertistiche) sono ancora personali e “coltivati” punti di forza del presente.
Ma quali sono i compositori/musicisti sui cui si basa la tradizione brittanica? Le tre maggiori influenze personalmente le vedo in Purcell, Handel e Geminiani: Purcell (1659-1695), noto compositore inglese fiorito in pieno periodo barocco, seppe coniugare con una particolare vena regale, le finali istanze del rinascimento con quelle del barocco, creando un connubio tra musica cantata (espressione di tutte le scoperte fatte nel Medioevo sul canto e sui cori) e nuova espressione musicale basata sugli strumenti e sulle loro forme di manifestazione (concerto, musica sacra, ecc.). La seconda grande influenza fu Handel (1685-1759), che pur essendo tedesco, si fece naturalizzare inglese dopo averci vissuto abbastanza per poter essere considerato membro di quel paese: è con lui che nascono ufficialmente i generi “spirituali” degli oratori e dei lavori in coro e di supporto nascono i primi concerti per “keyboards” che al tempo erano concerti per organo: non esisteva ancora il pianoforte e solo nel tardo barocco (intorno al 1720) conquistò dignità la scrittura per clavicembalo, per cui la musica importante era quella suonata nelle chiese con gli organi che erano la delizia degli ascoltatori: questa influenza è decisiva comunque per la nascita di una vera e propria scuola di “organisti” inglesi: Roseingrave (1688-1766), Nares (1715-1783), Hook (1746-1827) ecc, che venne offuscata nel primato solo nel Romanticismo dalla scuola francese. Le fondamentali opere sacre di Handel caratterizzarono lo stile di tutti i compositori britannici del futuro. La terza influenza è quella italiana e riguarda gli strumenti ad arco: gran parte dei migliori compositori inglesi del barocco si formò nelle lezioni di Geminiani confermando la validità anche oltre confine della scuola violinistica italiana: l’equivalente di Corelli dei concerti grossi si chiama Avison (1709-1770), nella sonata si distingue Arne (1710-1778), Boyce (1711-1779) si segnala con un corpo valente di sinfonie.
Poi all’incirca nel 1750, anno in cui muore la filosofia barocca per intraprendere quella classicista, la cultura classica britannica non riesce più ad esprimere talenti e soprattutto si accontenta di accoglierne altri nati fuori dai suoi confini; basti pensare al tedesco Haydn che rimase famoso per la sua permanenza a Londra e per i suoi graditissimi concerti londinesi. E’ solo nel primo romanticismo che si creano nuovi modelli e mi riferisco a Field (1782-1837) che inventa il genere del “notturno”, pietra angolare di tutti i pianisti virtuosi romantici; in realtà sono molti i compositori di quel periodo che nascono in Inghilterra (Bache, Sterndale Bennett, Stainer, ecc.) che forniscono elementi derivativi del classicismo e romanticismo tedesco (benché molti critici mettono in discussione l’affermazione di trovarsi di fronte a compositori “minori”); in particolare però si distingue l’opera di Litolff (1818-1891), che oltre ad essere un creativo pianista e compositore cercava (a differenza degli altri) di recuperare in maniera originale nella composizione quello “spirito” inglese del passato attraverso l’inserzione di elementi barocchi e classici.
L’asse portante del Romanticismo inglese nacque nel periodo decadentista: la triade Parry (1848-1918), Stanford (1848-1918) e Elgar (1857-1934). Tutti prendono come base della loro musica l’esperienza tedesca, ma il loro lavoro costituisce la “bibbia” della cultura musicale romantica e in generale della musica moderna inglese. Parry subì le influenze di Brahms, ma è indubbio che tutta la produzione sinfonica del compositore inglese recuperava quello spirito di “regalità” di cui si parlava prima; l’irlandese Stanford era più attratto dalla diretta melodicità di Schumann e dalle campagne irlandesi; Elgar era invece più vicino a Wagner di cui condivideva spesso quegli accenti orchestrali più innovativi.
Se questi artisti avevano finalmente ridato fiato alla musica colta inglese, fu però l’Impressionismo a creare la vera “rinascita” musicale del paese: sebbene il movimento fosse nato in Francia grazie a Debussy, in Gran Bretagna venne accolto così bene da creare una pletora di compositori (con caratteri diversi e personali) formando nel contempo un’espressione musicale e culturale di forza considerevole: grazie alla rinnovata scoperta dei valori tradizionali britannici (le folk songs) l’Inghilterra ebbe grandi compositori come Vaughan Williams (1872-1958) con una completa esposizione nel genere (dalla sinfonia al corale), Delius (1862-1934) che era invece molto vicino al modello francese e Holst (1874-1934) che nel suo capolavoro “The planets” comincia ad inserire elementi “etnici” (inflessioni indiane): tutti personaggi di alto profilo tecnico che traducono in musica il loro bagaglio culturale. Si diffonde inoltre la concezione “pastorale” della musica inglese che rappresenta il suo idioma distintivo. La Gran Bretagna avrà in questo periodo i suoi migliori pianisti (Ireland (1879-1962), Bowen (1884-1961), Holbrooke (1878-1958)) che sfruttando le nuovi possibilità delle scale pentatoniche ed esatoniche, nonché quelle modali, riuscivano a dare una nuova caratterizzazione al risultato musicale. Così come succede nel campo dell’orchestrazione che continua ad essere uno dei suoi punti di forza nelle opere di Bax (1883-1953), Bridge (1879-1941), Scott (1879-1970), Rubbra (1901-1986), Bliss (1891-1975), che ridonano splendore alla musica sinfonica e concertistica inglese dando anche l’impressione di essere l’esempio da seguire nel resto del mondo.
Dopo l’introduzione delle “moderne” tematiche riguardanti la dissonanza e l’atonalità i nuovi compositori inglesi, pur mantenendo un impianto tradizionale e tonale (sia pure con l’introduzione di nuovi elementi che vanno dal neo classicismo all’esotico, nella piena consapevolezza dei tempi) cominciano ad avvicinarsi a quelle forme sia pure con molta parsimonia: esempi sono Alwyn (1905-1985), Tippett (1905-1998) e soprattutto Britten (1913-1976), che può essere considerato il trait-de-union, il punto di svolta tra la tradizione classica inglese del passato e il rinnovamento dettato dalla contemporaneità.
Ma quali sono i compositori/musicisti sui cui si basa la tradizione brittanica? Le tre maggiori influenze personalmente le vedo in Purcell, Handel e Geminiani: Purcell (1659-1695), noto compositore inglese fiorito in pieno periodo barocco, seppe coniugare con una particolare vena regale, le finali istanze del rinascimento con quelle del barocco, creando un connubio tra musica cantata (espressione di tutte le scoperte fatte nel Medioevo sul canto e sui cori) e nuova espressione musicale basata sugli strumenti e sulle loro forme di manifestazione (concerto, musica sacra, ecc.). La seconda grande influenza fu Handel (1685-1759), che pur essendo tedesco, si fece naturalizzare inglese dopo averci vissuto abbastanza per poter essere considerato membro di quel paese: è con lui che nascono ufficialmente i generi “spirituali” degli oratori e dei lavori in coro e di supporto nascono i primi concerti per “keyboards” che al tempo erano concerti per organo: non esisteva ancora il pianoforte e solo nel tardo barocco (intorno al 1720) conquistò dignità la scrittura per clavicembalo, per cui la musica importante era quella suonata nelle chiese con gli organi che erano la delizia degli ascoltatori: questa influenza è decisiva comunque per la nascita di una vera e propria scuola di “organisti” inglesi: Roseingrave (1688-1766), Nares (1715-1783), Hook (1746-1827) ecc, che venne offuscata nel primato solo nel Romanticismo dalla scuola francese. Le fondamentali opere sacre di Handel caratterizzarono lo stile di tutti i compositori britannici del futuro. La terza influenza è quella italiana e riguarda gli strumenti ad arco: gran parte dei migliori compositori inglesi del barocco si formò nelle lezioni di Geminiani confermando la validità anche oltre confine della scuola violinistica italiana: l’equivalente di Corelli dei concerti grossi si chiama Avison (1709-1770), nella sonata si distingue Arne (1710-1778), Boyce (1711-1779) si segnala con un corpo valente di sinfonie.
Poi all’incirca nel 1750, anno in cui muore la filosofia barocca per intraprendere quella classicista, la cultura classica britannica non riesce più ad esprimere talenti e soprattutto si accontenta di accoglierne altri nati fuori dai suoi confini; basti pensare al tedesco Haydn che rimase famoso per la sua permanenza a Londra e per i suoi graditissimi concerti londinesi. E’ solo nel primo romanticismo che si creano nuovi modelli e mi riferisco a Field (1782-1837) che inventa il genere del “notturno”, pietra angolare di tutti i pianisti virtuosi romantici; in realtà sono molti i compositori di quel periodo che nascono in Inghilterra (Bache, Sterndale Bennett, Stainer, ecc.) che forniscono elementi derivativi del classicismo e romanticismo tedesco (benché molti critici mettono in discussione l’affermazione di trovarsi di fronte a compositori “minori”); in particolare però si distingue l’opera di Litolff (1818-1891), che oltre ad essere un creativo pianista e compositore cercava (a differenza degli altri) di recuperare in maniera originale nella composizione quello “spirito” inglese del passato attraverso l’inserzione di elementi barocchi e classici.
L’asse portante del Romanticismo inglese nacque nel periodo decadentista: la triade Parry (1848-1918), Stanford (1848-1918) e Elgar (1857-1934). Tutti prendono come base della loro musica l’esperienza tedesca, ma il loro lavoro costituisce la “bibbia” della cultura musicale romantica e in generale della musica moderna inglese. Parry subì le influenze di Brahms, ma è indubbio che tutta la produzione sinfonica del compositore inglese recuperava quello spirito di “regalità” di cui si parlava prima; l’irlandese Stanford era più attratto dalla diretta melodicità di Schumann e dalle campagne irlandesi; Elgar era invece più vicino a Wagner di cui condivideva spesso quegli accenti orchestrali più innovativi.
Se questi artisti avevano finalmente ridato fiato alla musica colta inglese, fu però l’Impressionismo a creare la vera “rinascita” musicale del paese: sebbene il movimento fosse nato in Francia grazie a Debussy, in Gran Bretagna venne accolto così bene da creare una pletora di compositori (con caratteri diversi e personali) formando nel contempo un’espressione musicale e culturale di forza considerevole: grazie alla rinnovata scoperta dei valori tradizionali britannici (le folk songs) l’Inghilterra ebbe grandi compositori come Vaughan Williams (1872-1958) con una completa esposizione nel genere (dalla sinfonia al corale), Delius (1862-1934) che era invece molto vicino al modello francese e Holst (1874-1934) che nel suo capolavoro “The planets” comincia ad inserire elementi “etnici” (inflessioni indiane): tutti personaggi di alto profilo tecnico che traducono in musica il loro bagaglio culturale. Si diffonde inoltre la concezione “pastorale” della musica inglese che rappresenta il suo idioma distintivo. La Gran Bretagna avrà in questo periodo i suoi migliori pianisti (Ireland (1879-1962), Bowen (1884-1961), Holbrooke (1878-1958)) che sfruttando le nuovi possibilità delle scale pentatoniche ed esatoniche, nonché quelle modali, riuscivano a dare una nuova caratterizzazione al risultato musicale. Così come succede nel campo dell’orchestrazione che continua ad essere uno dei suoi punti di forza nelle opere di Bax (1883-1953), Bridge (1879-1941), Scott (1879-1970), Rubbra (1901-1986), Bliss (1891-1975), che ridonano splendore alla musica sinfonica e concertistica inglese dando anche l’impressione di essere l’esempio da seguire nel resto del mondo.
Dopo l’introduzione delle “moderne” tematiche riguardanti la dissonanza e l’atonalità i nuovi compositori inglesi, pur mantenendo un impianto tradizionale e tonale (sia pure con l’introduzione di nuovi elementi che vanno dal neo classicismo all’esotico, nella piena consapevolezza dei tempi) cominciano ad avvicinarsi a quelle forme sia pure con molta parsimonia: esempi sono Alwyn (1905-1985), Tippett (1905-1998) e soprattutto Britten (1913-1976), che può essere considerato il trait-de-union, il punto di svolta tra la tradizione classica inglese del passato e il rinnovamento dettato dalla contemporaneità.
Discografia consigliata:
–Purcell, Gardiner Purcell collection, Music for the Funeral of Queen Mary, Birthday Ode “Come Ye Sons of Art”, Erato
-English 18th-Century Keyboard Concertos – Handel, Rosingrave, Chilcott, Nares, Hayes, Hook, Hyperion
Handel, Messiah, English Baroque solists, Philips
Avison: 12 Concerti Grossi after Sonatas by Domenico Scarlatti, The Brandeburg Consort, Hyperion
Arne, Complete Trio Sonatas /Collegium Musicum 90 · Standage, Chaconne
Boyce, 8 Symphonies – The English Concert – T. Pinnock, Archiv
Field, 15 Nocturnes, Roberte Mamou, Asturia
Parry, Complete symphonies, LPO Bamert, Chandos/Songs of farewell & Jerusalem, St. George’s Chapel Choir Windsor, Hyperion
Stanford, Symphonies & Irish Rhapsody, Vernon Handley, Chandos/Violin Concerto in D Major op 74/Suite for Violin & orchestra op. 32, Marwood, Hyperion/Clarinet Sonata, Robert Plane, Naxos
Elgar, Enigma variations, Mischa Maisky, Deutsche Gramophone/The dream of gerontius, CBSO Chorus, Simon Rattle, EMI
Delius, Orchestral works, Sir Thomas Beecham, EMI/Piano Concerto in C Minor in “Romantic piano concert”, Piers Lane, Hyperion
Bantock, Hebridean & Celtic Symphonies, Vernon Handley, Hyperion
Vaughan Williams, Mass in G minor, Noel Edison, Naxos/Complete symphonies, Vernon Handley, Classic for pleasure/Orchestral favourites vol 3, Boughton, Nimbus
Holst, The planets, Zubin Mehta, Teldec
Scott, Piano Concerto 1/Symphony 4, Shelly, Chandos
Bridge, Orchestral Works vol 2, Hickox, Chandos
Ireland, Legend/Piano Concerto in E flat major in “Romantic piano Concert”, Piers Lane, Hyperion / A downland suite, Concertino pastorale, Hickox, Chandos
Bax, Orchestral Works vol 3, Bryden Thomas, Chandos
Bowen, Piano Concerto n. 3 e 4, D. Driver, Brabbins, Hyperion
Bliss, A colour symphony, David Lloyd-Jones, Naxos
Finzi, Clarinet Concert, Thea King, Helios
Rubbra, Symphonies 3 & 7, Hickox, Chandos
Walton, Violin & Viola Concerto, Partita, Menuhin, Emi
Rawsthorne, Piano Concerto 1 & 2, Concerto for two pianos, Geoffrey Tozer, Chandos
Alwyn, Symphony 5/Sinfonietta for string/Piano concerto 2, H. Shelley, Chandos
Tippett, Orchestral works vol 1 & 2, in British Music Collection, vari esecutori, Decca
Britten, Piano Concerto/Violin Concerto, London/Young person’s guide to the Orchestra op 34, London/War requiem, Decca
-English 18th-Century Keyboard Concertos – Handel, Rosingrave, Chilcott, Nares, Hayes, Hook, Hyperion
Handel, Messiah, English Baroque solists, Philips
Avison: 12 Concerti Grossi after Sonatas by Domenico Scarlatti, The Brandeburg Consort, Hyperion
Arne, Complete Trio Sonatas /Collegium Musicum 90 · Standage, Chaconne
Boyce, 8 Symphonies – The English Concert – T. Pinnock, Archiv
Field, 15 Nocturnes, Roberte Mamou, Asturia
Parry, Complete symphonies, LPO Bamert, Chandos/Songs of farewell & Jerusalem, St. George’s Chapel Choir Windsor, Hyperion
Stanford, Symphonies & Irish Rhapsody, Vernon Handley, Chandos/Violin Concerto in D Major op 74/Suite for Violin & orchestra op. 32, Marwood, Hyperion/Clarinet Sonata, Robert Plane, Naxos
Elgar, Enigma variations, Mischa Maisky, Deutsche Gramophone/The dream of gerontius, CBSO Chorus, Simon Rattle, EMI
Delius, Orchestral works, Sir Thomas Beecham, EMI/Piano Concerto in C Minor in “Romantic piano concert”, Piers Lane, Hyperion
Bantock, Hebridean & Celtic Symphonies, Vernon Handley, Hyperion
Vaughan Williams, Mass in G minor, Noel Edison, Naxos/Complete symphonies, Vernon Handley, Classic for pleasure/Orchestral favourites vol 3, Boughton, Nimbus
Holst, The planets, Zubin Mehta, Teldec
Scott, Piano Concerto 1/Symphony 4, Shelly, Chandos
Bridge, Orchestral Works vol 2, Hickox, Chandos
Ireland, Legend/Piano Concerto in E flat major in “Romantic piano Concert”, Piers Lane, Hyperion / A downland suite, Concertino pastorale, Hickox, Chandos
Bax, Orchestral Works vol 3, Bryden Thomas, Chandos
Bowen, Piano Concerto n. 3 e 4, D. Driver, Brabbins, Hyperion
Bliss, A colour symphony, David Lloyd-Jones, Naxos
Finzi, Clarinet Concert, Thea King, Helios
Rubbra, Symphonies 3 & 7, Hickox, Chandos
Walton, Violin & Viola Concerto, Partita, Menuhin, Emi
Rawsthorne, Piano Concerto 1 & 2, Concerto for two pianos, Geoffrey Tozer, Chandos
Alwyn, Symphony 5/Sinfonietta for string/Piano concerto 2, H. Shelley, Chandos
Tippett, Orchestral works vol 1 & 2, in British Music Collection, vari esecutori, Decca
Britten, Piano Concerto/Violin Concerto, London/Young person’s guide to the Orchestra op 34, London/War requiem, Decca
La lista sarebbe interminabile data la mole dei lavori importanti, perciò questa si deve presentare come una discografia minima ed essenziale che sia quanto più rappresentativa possibile degli argomenti. Perdonatemi quindi se ho dimenticato molti compositori che in una scala di valori avrebbero potuto anche rientrare nelle segnalazioni.