Compito non certamente facile quello di dover giustificare l’importanza attribuitagli dalle riviste specializzate e non, ad ogni uscita discografica: Jason Moran, pianista jazz di elevato livello, musicista spigliato e moderno bopster, è uno di quei musicisti che rientra a pieno titolo nell’ambito di quella categoria multistilistica del jazz odierno; nel suo background musicale convivono la sua preparazione classica ed elementi propriamente jazzistici; in particolare spiccano: 1) la componente “colta” individuata da una sensibilità anche dichiarata al periodo romantico-impressionista e per questo basti pensare alle personali brevi riletture di Brahms o Schumann o a quelle estratte dal repertorio di Ravel e Prokofiev; 2) la componente blues, orgogliosamente rispettosa della radice jazzistica che inevitabilmente lo porta ad esprimersi con modalità che si rifanno temporalmente agli inizi del jazz, dai primi pianisti di New Orleans a Scott Joplin, fino ad Art Tatum di cui condivide spesso il suo panismo veloce e scalato: “Same mother” l’album del 2006 presenta diversi episodi eccentricamente rivolti a questa componente; 3) la componente jazz, talvolta free, talvolta be-bop con disserzioni funk che si ripresentano in tutti i suoi albums attraverso i “Gangsterisms” collante fondamentale delle sue opere e reale marchio di fabbrica in cui si evidenzia tutta la pienezza del suo solismo allo strumento.
Moran ha fornito il suo capolavoro con il piano solo “Modernistic” in cui venivano fuori tutte le sue virtù musicali in modo distinto capitalizzando una serie di lavori in quartetto che mettevano in luce le sue idee fino ad allora condivise con comprimari illustri ospitati nei suoi dischi: vedi Greg Osby sull’album d’esordio o il meraviglioso Sam Rivers che in “Black Stars” divide la scena.
“Ten” conferma tutto quello che si è detto sulle sue caratteristiche e si pone tra i suoi lavori forse più delicati e sensitivi della produzione discografica ponendosi in leggero contrasto con il precedente “Artist in Residence” che invece si addentrava in un progetto sperimentale (richiesto anche dalla natura dell’opera commissionata da una fondazione di arte) in cui erano presenti elementi hip-hop, campionamenti in loop, vocalità liriche.
Moran ha fornito il suo capolavoro con il piano solo “Modernistic” in cui venivano fuori tutte le sue virtù musicali in modo distinto capitalizzando una serie di lavori in quartetto che mettevano in luce le sue idee fino ad allora condivise con comprimari illustri ospitati nei suoi dischi: vedi Greg Osby sull’album d’esordio o il meraviglioso Sam Rivers che in “Black Stars” divide la scena.
“Ten” conferma tutto quello che si è detto sulle sue caratteristiche e si pone tra i suoi lavori forse più delicati e sensitivi della produzione discografica ponendosi in leggero contrasto con il precedente “Artist in Residence” che invece si addentrava in un progetto sperimentale (richiesto anche dalla natura dell’opera commissionata da una fondazione di arte) in cui erano presenti elementi hip-hop, campionamenti in loop, vocalità liriche.
Discografia consigliata:
-Soundtrack to human notion, Blue Note 1999
-Black stars, Blue Note, 2001
-Modernistic, Blue Note, 2002