Quando la gente crede nei confini, diventa parte di essi.
-Don Cherry-
La frase dello scomparso Don Cherry sintetizza il pensiero musicale di coloro che senza clamore hanno avuto una “portata” musicale ed una influenza non indifferente nella musica moderna: Cherry può essere considerato il vero precursore di un nuovo modo di abbracciare lo strumento che fosse non solo libero da schemi e rigidità di forma, ma che lo fosse nella sostanza, nella capacità di attrarre comunità diverse ed organizzare un impensabile scambio culturale, anzi direi un’integrazione dei percorsi spirituali e mistici di popoli e religioni diverse.
Nel periodo d’oro della realizzazione dei contenuti del free jazz, nel quale Cherry si è ritrovato con musicisti differenziati nel modo di suonare, si è di fronte a nuovi drivers per la tromba: Cherry allarga il raggio d’azione a strumenti dalle dimensioni ancora più contenute come la cornetta o la tromba tascabile, ma soprattutto coglie al volo il cambiamento che la tromba attraversa in quegli anni; si intuisce che c’è meno bisogno di senso lirico, una circostanza che aveva contraddistinto lo strumento in più di mezzo secolo di storia (con le evoluzioni di Miles Davis per esempio) e più conto per l’avventura nel mondo della “discorsività”.
I trombettisti free jazz diventano portatori di una modalità di espressione in grado di coinvolgere qualsiasi stato d’animo o sensazione della vita quotidiana e di relazione e i due musicisti free che per primi si adoperarono allo strumento in questo modo furono Bill Dixon, che gettava anche un occhio nei percorsi più vicini alla musica colta e appunto Don Cherry. Entrambi rifacevano Davis ad alta velocità e senza schemi, ma riguardo a Cherry, dopo i primi albums stoicamente dedicati al free jazz, si nota l’approfondimento verso una tipologia di improvvisazione che si ritrova nella mescolanza delle culture e delle tradizioni religiose, sia dell’est asiatico che del continente africano. Con il supporto di molti eccellenti musicisti Cherry fornisce grandi esempi anche discografici, nel periodo che va da “Eternal Rhythm” fino a “Brown rice”, con larghe scie di merito nei progetti Codona e Multikulti: i musicisti con lui impegnati verranno così pesantemente influenzati al punto da riprodurre nelle loro parallele carriere quella punta di universalità da lui creata.
Il progetto di Cherry fu quello di creare una “completa comunione” (parafrasando il suo capolavoro free) tra i musicisti e tra questi e la materia suonata. Cherry sviluppò una sua tecnica negli anni della rivoluzione di Ornette Coleman e soci, che pian piano si manifestò sempre di più nel modo di suonare, frutto di una globalizzazione di tutte le esperienze che aveva fatto in Oriente e in Africa: la sua cornetta ad un certo punto suonava veramente world, mettendo assieme il canto indiano karnatico dell’insegnante induista Pran Nath, la comunicazione free, il percussionismo del Mali e delle sue zone attigue: Brown Rice fu l’episodio in cui queste espressioni furono anche alla portata del pubblico e di fatto crearono le premesse per la nascita di musicisti come Jon Hassell, il cui debito verso il trombettista jazz americano è elevatissimo; Brown Rice del 1975 può considerarsi probabilmente come l’ultimo episodio discografico di valore di Cherry, ma allo stesso tempo è anche una specie di passaggio di testimone verso l’emergente miscela di jazz, ambient e musica del mondo, che sarà la materia trattata da Hassell.
Nel periodo d’oro della realizzazione dei contenuti del free jazz, nel quale Cherry si è ritrovato con musicisti differenziati nel modo di suonare, si è di fronte a nuovi drivers per la tromba: Cherry allarga il raggio d’azione a strumenti dalle dimensioni ancora più contenute come la cornetta o la tromba tascabile, ma soprattutto coglie al volo il cambiamento che la tromba attraversa in quegli anni; si intuisce che c’è meno bisogno di senso lirico, una circostanza che aveva contraddistinto lo strumento in più di mezzo secolo di storia (con le evoluzioni di Miles Davis per esempio) e più conto per l’avventura nel mondo della “discorsività”.
I trombettisti free jazz diventano portatori di una modalità di espressione in grado di coinvolgere qualsiasi stato d’animo o sensazione della vita quotidiana e di relazione e i due musicisti free che per primi si adoperarono allo strumento in questo modo furono Bill Dixon, che gettava anche un occhio nei percorsi più vicini alla musica colta e appunto Don Cherry. Entrambi rifacevano Davis ad alta velocità e senza schemi, ma riguardo a Cherry, dopo i primi albums stoicamente dedicati al free jazz, si nota l’approfondimento verso una tipologia di improvvisazione che si ritrova nella mescolanza delle culture e delle tradizioni religiose, sia dell’est asiatico che del continente africano. Con il supporto di molti eccellenti musicisti Cherry fornisce grandi esempi anche discografici, nel periodo che va da “Eternal Rhythm” fino a “Brown rice”, con larghe scie di merito nei progetti Codona e Multikulti: i musicisti con lui impegnati verranno così pesantemente influenzati al punto da riprodurre nelle loro parallele carriere quella punta di universalità da lui creata.
Il progetto di Cherry fu quello di creare una “completa comunione” (parafrasando il suo capolavoro free) tra i musicisti e tra questi e la materia suonata. Cherry sviluppò una sua tecnica negli anni della rivoluzione di Ornette Coleman e soci, che pian piano si manifestò sempre di più nel modo di suonare, frutto di una globalizzazione di tutte le esperienze che aveva fatto in Oriente e in Africa: la sua cornetta ad un certo punto suonava veramente world, mettendo assieme il canto indiano karnatico dell’insegnante induista Pran Nath, la comunicazione free, il percussionismo del Mali e delle sue zone attigue: Brown Rice fu l’episodio in cui queste espressioni furono anche alla portata del pubblico e di fatto crearono le premesse per la nascita di musicisti come Jon Hassell, il cui debito verso il trombettista jazz americano è elevatissimo; Brown Rice del 1975 può considerarsi probabilmente come l’ultimo episodio discografico di valore di Cherry, ma allo stesso tempo è anche una specie di passaggio di testimone verso l’emergente miscela di jazz, ambient e musica del mondo, che sarà la materia trattata da Hassell.
Hassell fu dunque il primo ad intuire l’importanza di quella “comunione” di intenti di Cherry, ma era anche alla ricerca di come rendere visibile e forse cinematografica l’anima dello strumento suonato: studente di La Monte Young e Stockhausen e affascinato dalle glacialità elettriche di Miles Davis del periodo elettrico, Hassell cercò nella vibrazione lunga dei suoni e nella rielaborazione elettronica della sua tromba quell’impulso necessario per rendere efficienti e possibili determinate intuizioni. Con lui la tromba riuscì a riprodurre perfettamente il sentimento sottostante dell’artista: poteva essere sinuoso, etereo, piangente, viaggiante, capace di ricostruire i suoni delle giungle o la memoria storica di un posto o di una popolazione (con tutte le implicazioni sul versante della new-age). L’incontro tra il discorsivo e il lirico, tra Cherry e Miles Davis, si materializzò grazie a lui.
Brian Eno, che con Hassell scrisse le prime pagine di questo nuovo, subliminale e idealizzato “quarto mondo” oltre i tre conosciuti, fu accusato di aver rubato le sue idee nel disco con Byrne, ma si capisce quanto sia da minimizzare questa affermazione quando si pensa alla semplice circostanza che nel disco con Byrne non c’è la sua tromba: è, come dire, fare un’esperienza non completa e soprattutto diversa. Di solito, quando si parla di world music, il riferimento viene fatto dividendo sommariamente le altre zone alternative all’occidente storico (che contiene anche le due Americhe) e quindi ci si riferisce al continente asiatico e a quello africano, ma con Hassell la critica conia un termine che è utile per evitare divisioni geografiche e in definitiva per individuare musiche costruite anche con mezzi elettronici. Con Hassell ci troviamo di fronte all’affermazione che i suoni possono provenire da qualsiasi posto ed integrarsi con quelli di base, che esiste una post-world music che può allinearsi con altri generi e inglobare elementi di vario tipo: ora si può passare da un percussionismo tribale ad un cerimoniale giapponese, da un drone ambientale ad un assolo in pieno spirito jazzistico, utilizzando mezzi acustici o sintetizzati. Ma aldilà di tutto, ciò che mi sembra essenziale è che questa musica ha un suo grado di riconoscibilità ed è aperta all’integrazione culturale.
Brian Eno, che con Hassell scrisse le prime pagine di questo nuovo, subliminale e idealizzato “quarto mondo” oltre i tre conosciuti, fu accusato di aver rubato le sue idee nel disco con Byrne, ma si capisce quanto sia da minimizzare questa affermazione quando si pensa alla semplice circostanza che nel disco con Byrne non c’è la sua tromba: è, come dire, fare un’esperienza non completa e soprattutto diversa. Di solito, quando si parla di world music, il riferimento viene fatto dividendo sommariamente le altre zone alternative all’occidente storico (che contiene anche le due Americhe) e quindi ci si riferisce al continente asiatico e a quello africano, ma con Hassell la critica conia un termine che è utile per evitare divisioni geografiche e in definitiva per individuare musiche costruite anche con mezzi elettronici. Con Hassell ci troviamo di fronte all’affermazione che i suoni possono provenire da qualsiasi posto ed integrarsi con quelli di base, che esiste una post-world music che può allinearsi con altri generi e inglobare elementi di vario tipo: ora si può passare da un percussionismo tribale ad un cerimoniale giapponese, da un drone ambientale ad un assolo in pieno spirito jazzistico, utilizzando mezzi acustici o sintetizzati. Ma aldilà di tutto, ciò che mi sembra essenziale è che questa musica ha un suo grado di riconoscibilità ed è aperta all’integrazione culturale.
Discografia consigliata:
Don Cherry:
Complete Communion, Blue Note, 1965
Symphony for Improvisers, Blue Note, 1966
Eternal Rhythm, MPS, 1968
Mu, Varese, 1969
Symphony for Improvisers, Blue Note, 1966
Eternal Rhythm, MPS, 1968
Mu, Varese, 1969
Relativity suite, Jcoa, 1973
Brown Rice, Jazz Heritage, 1975
I tre volumi dei Codona (gruppo con Colin Walcott e Nana Vasconcelos), ECM rispettivamente 1978, 1980, 1982
Jon Hassell
Vernal Equinox, Lovely Music, 1977
Earthquake Island, Tomato, 1978
Fourth World, Vol. 1: Possible Musics, EG Records, 1980 (con Eno)
Fourth World, Vol. 2: Dream Theory in Malaya, EG Records, 1981
Earthquake Island, Tomato, 1978
Fourth World, Vol. 1: Possible Musics, EG Records, 1980 (con Eno)
Fourth World, Vol. 2: Dream Theory in Malaya, EG Records, 1981
Aka/Darbari/Java, EG Records 1983
Power Spot, ECM 1986
City works of fiction, Un.St.Distr. 1990
Sulla strada, Mat.Sonori, 1995