Come è noto nella letteratura violinistica, i primi esperimenti concertistici furono intrapresi nel 1698 dal nostro Torelli che, individuando una nuova sensibilità musicale per lo strumento, cominciò ad attuare quello svincolo del violino da strumento di mero accompagnamento (come evoluzione della viola da braccio prosperante nelle forme polifoniche del rinascimento), a strumento solista, ma le sue nuove convenzioni (che divennero parte di una vera e propria scuola violinistica tutta italiana), non avevano ancora quella fantasia che Arcangelo Corelli espresse nei suoi meravigliosi Concerti Grossi o la fantasia di Antonio Vivaldi nella sua produzione concertistica (tra cui spicca l’esaltante raccolta del “Il Cimento dell’Armonia”). Non furono gli unici in Italia, poiché la tradizione venne rinverdita per almeno altri cento anni da altri validi compositori (Tartini, Viotti, etc.) ma senza dubbio questi due artisti, ancora oggi, godono di una popolarità invidiabile, che rendeva giustizia al violino anche fuori dai confini italiani: se pensate ai musicisti francesi o inglesi di tutto il barocco, riesce difficile pensare che questi non avessero ripreso a piene mani la tradizione violinistica italiana. Forse chi si staccava per modus operandi erano i musicisti austro-tedeschi, che oltre a propugnare tecniche diverse, si caratterizzavano per lo sviluppo del contrappunto ed in generale per una più ampia libertà compositiva, frutto degli insegnamenti di virtuosi nati cinquant’anni prima (tra cui Biber), i cui risultati si evidenziarono successivamente, nei meravigliosi concerti di J.S. Bach.
–Giuseppe Torelli
Violin Concert op 8 (1698)
–Arcangelo Corelli
Concerti Grossi op 6 (1714)
–Antonio Vivaldi:
L’estro Armonico op 3 (1711)
La Stravaganza op 4 (ca 1714)
The Four Seasons (ca. 1725), nel “Il cimento dell’armonia e dell’inventione”, op 8
–Johann Sebastian Bach
Violin Concerto in A minor, BWV 1041 (1717-1723)
Violin Concerto in E major, BWV 1042 (1717-1723)
Double Violin Concerto in D minor, BWV 1043 (1723)
–Giuseppe Tartini
Violin concertos
La rigorosità del successivo movimento classicista diede incredibilmente un nuovo e vitale impulso all’attività concertista per violino in tutti i paesi europei; anzi, con Mozart, Georges de Boulogne, Spohr, etc. vennero probabilmente scritte alcune tra le più difficoltose partiture allo strumento.
–Wolfgang Amadeus Mozart
Violin Concerto no 1 in B-flat major, K 207 (1773)
Violin Concerto no 2 in D major, K 211 (1775)
Violin Concerto no 3 in G major, K 216, Strassburg (1775)
Violin Concerto no 4 in D major, K 218 (1775)
Violin Concerto no 5 in A major, K 219 (1775)
–Chevalier de Saint-Georges
Violin concertos (intorno al 1770)
–Josef Myslivecek/Giovanni Battista Viotti/Franz Schubert/Louis Spohr
Violin Concertos, Hyperion R.
–Pierre Rode
-Violin Concertos 7,10,13, Naxos
-Rudolphe Kreutzer
-Violin Concertos 17-19, Naxos
Tuttavia al concerto mancava ancora la profondità dell’apporto dell’orchestra, che venne puntualmente estremizzata da Beethoven e da tutto il movimento romantico: tanti i concerti che ancora oggi sono patrimonio artistico e su cui si fonda il repertorio di tanti violinisti, che comunque trascurano in maniera piuttosto sostanziale il periodo impressionista di marca inglese (Delius, Walton, Elgar, etc.): al riguardo molto positiva è il lavoro di riproposizione fatto dalla Hyperion Records con creazione di una serie, a dir il vero ancora minuta, che cerca tralatro di approfondire i contenuti romantici di alcuni validissimi compositori inglesi gettati nel dimenticatoio. (Stanford, Somerville, Coleridge-Taylor).
–Henryk Wienavsky
Violin Concerto no. 2 in D minor (1862)
–William Walton
Violin Concerto (1939)
Poi agli inizi del novecento, grazie agli interventi seminali di Szymanovski, Berg, Schoenberg e Bartok il concerto per violino conobbe una nuova valenza, questa volta era però la conseguenza delle nuove teorie sull’atonalità, sebbene sia necessario ricordare che molti di questi musicisti non l’applicavano in toto: il concerto perde quelle sue caratteristiche di slancio emotivo o di astratto ritratto paesaggistico, per assumere i contorni di un’apparente glacialità sentimentale: il violino da lirico diventa ossessivo come in un quadro espressionista, acquista un suono dinamico e straniante.
Influenzati dall’impressionismo francese (Debussy e les Six) e da Stravinsky, in quegli anni alcuni dei contributi migliori alla produzione concertistica del violino vennero dai compositori americani o “americanizzati” (Barber, Korngold, Martinu, Rosza, etc.), che ben si adattarono allo sviluppo di altre arti parallele (cinema), per cui ad un certo punto ne furono il leit-motiv. Più modesto ma non per questo non di valore, l’apporto dei compositori russi e scandinavi che si ponevano come scia finale dei movimenti tonali del secolo precedente.
-Kurt Atterberg
Op. 7 Concerto for Violin in E minor (1913)
Un ulteriore passo in avanti nello sviluppo del concerto fu fatto da Stravinski, Shostakovich e Sessions, che introducevano le prime ibride sperimentazioni su alcuni parametri musicali.
La modernità delle avanguardie dopo gli anni cinquanta affrontò la trattazione del concerto per violino in maniera adeguata ai tempi, sfumando notevolmente i suoi contenuti storici: se da una parte le nuove generazioni della scuola nordica (Nordgren, Petterson, Hovland, etc.) non facevano altro che effettuare un aggiornamento alla scuola di Schonberg, dall’altra la stessa restava ancora l’unica scuola ad affrontare con una certa innovazione di contenuti il tema. Le eccezioni erano la microtonalità di Ligeti che si riversava anche nel suo unico concerto e il forte carattere dissacratorio dell’avanguardia di Penderecki.
Concerto for Violin and Orchestra opus 81 (1974)
Fino all’avvento dei minimalisti americani si può tranquillamente affermare che c’è un vuoto storico, che è espressione di un ripensamento sulle attitudine artistiche dello strumento: alcuni compositori soprattutto negli Stati Uniti cercano di unire impostazioni storiche diverse, mettendo in relazione nei loro stili atonalità, tonalità e qualche volta avanguardia, in ossequio al melting-pot musicale che sta prendendo piede anche negli altri generi, ma si rimane comunque in terreni “puri”, che fanno fatica a mescolarsi con generi musicali ritenuti poco “colti”.
–William Schuman:Violin Concerto (1950)
–Walter Piston:Violin Concerto n. 2 (1960)
-George Rochberg :Violin Concerto (1974)
–Ned Rorem:Violin Concerto (1985)
–Elliott Carter :Violin Concerto (1990)
I migliori esempi del minimalismo arrivano dopo gli ottanta, ma per un concerto per violino bisognerà aspettare Reich e Glass (che scrive il suo primo concerto per violino nel 1987); tra quelli poi a carattere religioso particolarmente importanti si rivelano le esperienze di Arvo Part con il suo unico concerto e quelle di Peteris Vasks; molto più tiepida la materia in Europa dove si segnala, tra i minimalisti europei, il concerto di Gavin Bryars.
–
Arvo Pärt
Tabula Rasa—Double Concerto for two violins, string orchestra, and prepared piano (1977)
–Gavin Bryars
Violin Concerto (2000)
Totalmente assenti gli spettralisti per le evidenti diversità di vedute nella composizione: il violino viene vivisezionato e si cerca di attribuirgli una “fisicità” basata sul controllo dei parametri del suono, perciò non c’è l’obiettivo di pensare a forme di concerto, quantomeno nelle caratteristiche che l’hanno accompagnato storicamente.
Qual è la situazione oggi?
I compositori accolgono in massima parte i criteri nati ai tempi di Berg e Bartok, sebbene abbiano imparato da tempo ad utilizzare spesso tecniche non convenzionali sullo strumento: si continua a miscelare le tecniche emerse nei vari periodi storici fondendo soprattutto gli ultimi cento anni di storia musicale classica.
–Magnus Lindberg
Violin Concerto (2006)
–Jennifer Higdon
Violin Concerto (2009)
–Unsuk Chin
Violin Concerto (2002)
-Thomas Ades
–Violin Concerto: Concentric Paths (2005)
–John Corigliano
Violin Concerto (2003)
Per quanto riguarda la trattazione del concerto per violino in ambito “etnico”, vale prendere in considerazione quello per violino e percussioni d’orchestra di Lou Harrison del 1940 e più recentemente di Robert Kyr (Violin Trilogy, New Albion 2005); per i rapporti con l’Oriente vi invito ad andare a leggere l’articolo sulla composizione nel Far East e sulla musica turca, nelle discografie consigliate. Per ciò che concerne l’America Latina, importante è il contributo di Carlos Chavez con il suo concerto del 1950.