Ieri è scomparso un pilastro della corrente classica chiamata “minimalismo sacro” o anche “Christian Revival”: Henryk Gorecki. Da più parti è stato sottolineato come il movimento minimalista con la sua estensione sacra, avesse avuto una diramazione oscura e non sempre percebile. Poi, nell’ambito dello stessa sacralità i percorsi effettuati dai compositori furono alquanto personali: Ligeti o Norgard avevano usato il serialismo o avevano applicato regole di totale dissonanza, facendo pensare ad una religiosità troppo intellettuale e poco spirituale. I due compositori che invece più si avvicinavano a quel concetto di aderenza ad una fede di cuore erano Arvo Part (vedi mio post precedente) e Henryk Gorecki. In realtà il compositore polacco poteva ritenersi un ibrido, poichè spesso le sue composizioni usavano un linguaggio poco ortodosso anche per argomenti religiosi (tra serialismo, avanguardia alla Stockausen e rispetto delle regole usuali minimaliste): il suo modo di affrontare il tema religioso si è uniformato a Part in occasione della sua tonale 3° sinfonia, nella quale cercherà di impossesarsi dei personaggi sofferenti narrati, in una sorta di immedesimazione veicolata dalla musica: Gorecki univa in un linguaggio voluto l’infelicità dell’espressione musicale con forti iniezioni di dinamismo musicale frutto di una rielaborazione di stili moderni e antichi: prendete il suo concerto per piano (o harpsichord) e udirete echi del Wagner della cavalcata di Waikiri, tocchi pianistici pseudoromantici, radicalismi da avanguardia, dando la netta sensazione di fotograre la nuova realtà di vita dei tempi; non a caso questi aspetti lo renderanno uno dei concerti più apprezzati dai fruitori di musica non strettamente appartenenti alla classica.
Ritornando ancora alla sua più acclamata opera artistica, la Sinfonia n. 3 è doveroso rimarcare la sua ardua comprensione: andare oltre i primi 5 minuti di quell’ascolto significa separare un ascolto difficilissimo e distratto, da uno “rivelatore” e profondo e sinceramente non so quanti riuscirebbero a far parte della seconda categoria enunciata: vero anche che quest’opera fu anche un ottimo successo commerciale dovuto forse più ai temi che all’apprezzamento generalizzato della composizione. Tre movimenti, lamenti di origine diversa, inquinati da un “deprimente” arrangiamento di archi che si ripetono in lunghezza e da un canto soprano di una bellezza sconvolgente, che declama la disperazione profonda dei soggetti coinvolti. Nonostante tutte le critiche questa sinfonia resterà il suo lavoro creativamente più avanzato, il più lugubre, ma anche il tentativo più riuscito da un umano di “mostrare” musicalmente il lato peggiore della vita. Se il suo passo stilistico distintivo è altrove, qui risiede certamente quello del suo cuore.
Discografia consigliata:
-Symphony 3 “Sorrowful Songs”, Zinman, London Sinfonietta, Upshaw, Nonesuch 1976
-Already It Is Dusk (String Quartet No. 1, Op. 62) (1988) / Quasi una Fantasia (String Quartet No. 2, Op. 64) (1990-91) – Kronos Quartet, Nonesuch
-Three pieces in old style, Maksimiuk, Emi C. (1963)
-Concerto for harpsichord and orchestra, Conifer 1980