Considerazioni sul presunto stato di crisi dell’elettronica

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Da più parti provengono tesi critiche atte a sminuire l’importanza dell’elettronica nell’odierno e per le future generazioni: a sostegno di queste ci sarebbero le continue prove discografiche di parecchi “big” del genere che non riescono a trovare vere nuove strade di sviluppo e che quindi rimangono ingabbiati nei loro stereotipi. Ma sinteticamente qual è lo stato delle cose oggi? Alla luce degli accadimenti odierni non sembra poi così grave questa crisi. Procediamo per genere:
1) nella classica, l’elettronica sta consolidando nella direzione dei movimenti fondatori: un conforto in nuove generazioni di sperimentatori dell’area della risonanza acustica e della psicoacustica sono il risultato del continuo interesse verso le teorie elettroacustiche di Stockhausen; spazialità e finissime ricerche di live electronics interessano il mondo della composizione succube del lavoro di Nono; software sempre più potenti, nonché dispositivi dalla carica innovativa accompagnano il percorso di molti compositori aventi un gancio nei concretisti francesi e nelle sedi istituzionali di ricerca. Non sembra essersi spento l’interesse sulla composizione “spettralista”: il suono viene esplorato, ridisegnato e tutta la composizione si basa su questi studi, con il risultato di creare parti strumentali nuove, spesso nascondendo un adattamento realmente arduo per i musicisti che devono affrontarle. In tutti questi casi c’è un consolidamento ed approfondimento delle tecniche (si pensi ai progressi compiuti in materia di sonificazione o di strumenti informatici utilizzabili per le installazioni, orchestre od ambienti particolari), perciò senza dubbio non si profila nessuno stop all’orizzonte.
2) nel jazz, la commistione con l’elettronica ha dato vito ultimamente ad uno dei movimenti più validi chiamato “nu jazz”, con le sue basi tra New York e tutto il nord Europa, ma anche coinvolto molti musicisti appartenenti al movimento dei nuovi minimalisti (Necks, Nik Bartsch). Nel campo dell’improvvisazione libera c’è una flotta di sperimentatori che in maniera variabile intercetta modalità di elettronica senza connessione temporale: si va dai nastri ai laptops, dalle pedaliere a particolari sintetizzatori in live electronics; è un sottobosco rispetto alla massa dei musicisti, certo, ma spesso è di notevole valenza estetica.
3) Nel pop e nel rock ormai si può dire che siamo da anni all’abuso: tutte le fanzine specializzate hanno all’interno critici superinformati in tal senso, ma non si vedono all’orizzonte particolari miscele che abbiano la capacità di durare almeno due giorni; forse più importanti da esplorare potrebbero essere le relazioni dell’elettronica con il country (vedi alcune cose interessanti fatte dai Matmos), mentre il vero perno dell’elettronica negli ultimi anni è stato il suo connubio con il folk, un ennesimo revival a vari livelli dei folksingers di riferimento degli anni sessanta integrati in una versione elettronica contemporanea: il movimento è stato chiamato folktronica e probabilmente rappresenta un punto già in piena fase di esplorazione (Books, Sweet Little Pilgrim, ecc.)
4) L’elettronica nata come supporto alla dance music ha conosciuto uno sviluppo incredibile, formando ibridi intenzionalmente più leggeri e vicini allo spirito del jazz e della classica (vedi gli esperimenti di D.J. Spooky e Daniel Bernard Roumain); un movimento di autodefinizione si è creato grazie ai cosiddetti scultori del suono, musicisti elettronici dall’estrazione varia (in basso o a monte della catena formativa), che compongono prelevando i materiali dai suoni immagazzinati sui loro computers;
5) Nell’ambient o nella new age sembrano annidarsi i veri problemi, cioè proprio nell’ambito di quei generi che negli anni settanta se ne sono serviti per dargli un contenuto di popolarità. Se riprendiamo la teoria di Eno “……la musica Ambient deve essere capace di andare incontro a numerosi livelli di attenzione nell’ascolto senza esaltarne uno in particolare, deve essere tanto ignorabile quanto è interessante…” emerge senza dubbio che una musica cosiffatta andasse incontro ad immediati limiti di originalità delle proposte se non si fossero studiate delle reali contromisure. Eno le risolse con l’arte delle sfumature, ma come dire, di Eno ne possiamo fare solo uno!
Steve Roach e Klaus Schulze tentarono di dargli dei contenuti diversi cercando nella profondità del suono un viatico per esprimere effetti terapeutici da applicare alla psiche, ma anch’essi ad un certo punto rimasero vittima di quella proposta; invero altri musicisti importanti (Robert Carty, Michael Stearns, ecc.) virarono verso una dimensione cosmica dei suoni che, forse, nonostante tutto appare una formula più resistente all’usura del tempo. Oggi gran parte degli artisti ambient (anche quelli con attitudini newage) si presentano come “cloni” dei big del passato e quindi con uno scarso rapporto di qualità artistica intrinseca. Né vale prendere in considerazione l’ambient isolazionista che spesso sortisce effetti anestetici. Lo stesso dicasi per i lavori cosiddetti “wordl” che pagano continuamente un tributo al loro creatore Hassell. Forse le migliori idee vengono dal “collage” che molti artisti stanno tentando di proporre, cioè cercare di attaccare pezzi musicali di vario genere tra cui non si escludono elementi persistenti di “rumore” (noise) per cercare una pozione musicalmente spendibile.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.