La maggior parte dei pianisti jazz attuali spesso traduce in musica le mille influenze che derivano dagli studi a largo raggio che gli stessi devono affrontare nelle scuole musicali fin da ragazzi; non è solo un problema stilistico, ma anche del “sentire”, in quello che si compone, l’afflato dei tempi vissuti: uno di quelli che ci riesce meglio è il pianista di origini giapponesi, ma residente a Baltimora, Nobu Stowe. Riesce a condensare nel suo pianismo non solo modi di suonare che appartengono a discipline diverse (Stowe inizialmente aveva un gruppo di progressive con un sound vicino al modello italiano e ai Popol Vuh, poi si è avvicinato al jazz e al tema improvvisazione), ma riesce ad avere un lirismo che si muove nei meandri delle sensazioni possibili suscitate dalla musica: le influenze di Evans e Jarrett gli garantiscono quella melodicità pianistica essenziale che viene poi filtrata con passaggi nettamente immersi nella tradizione free jazzistica con sapori “progressivi”, in una commistione personalissima fatta di piena libertà stilistica, qualità difficile da trovare nei pianisti odierni; un pianista romantico, intrigante e misterioso allo stesso tempo. In un’intervista Nobu Stowe ha cercato di spiegare che la sua musica si caratterizza per il fatto di aderire ad un principio di improvvisazione totale diversa da quella “free” intendendo dire proprio che il suo tipo di improvvisazione non è radicale ma attraversa un percorso misto che si misura in maniera diversa a seconda del tema che si vuole esprimere: una sorta di improvvisazione “free” melodica. Debbo sottolineare come la critica jazz italiana non gli dia molto credito; se scorrete le sue recensioni le valutazioni dei suoi dischi vanno in direzione di una sufficiente bontà del prodotto, argomentadosi spesso sul fatto che questo tipo di improvvisazione fu già appannaggio degli sperimentatori free europei negli anni settanta (Derek Bailey è l’artista più citato): se questa considerazione è opinabile sul piano della complessità delle intenzioni musicali di Stowe, può essere accettata al contrario per la parte musicale che si rivolge strettamente all’improvvisazione libera. Forse meno dubbi solleva la componente melodica dell’artista, che ha avuto modo anche di esplicarsi nel trio con Centazzo e Robinson, dove il suo piano dà un contributo fondamentale alle tematiche del percussionista italiano.
Con il suo ultimo lavoro discografico “Confusion Bleue” Stowe scava anche in elementi che richiamano alla memoria il Miles Davis intuitivo di “Bitches Brew” e struttura il disco in una sorta di “suite” increspata, che fa da contrasto ai suoi due precedenti albums per la Soul Note, dove maggiore era l’apporto melodico, ed invece si collega parzialmente ai “Moments” di New York e Brooklin pubblicati per la Konnex.
Discografia consigliata:
-Soul in the mist, Ictus 2007 (a nome Centazzo/Robinson/Stowe)
-Hommage an Klaus Kinski, Soul Note 2007
-An Die Musik, Soul Note 2008