Il novecento ha scoperto il valore del “silenzio” in musica: se alcuni compositori l’hanno estremizzato dandogli un valore surrettizio, direi quasi ambientale e mi riferisco agli esperimenti di 4’33 di Cage e a tutte le pause utilizzate nel corso dei brani da altri avanguardisti in molta loro produzione, altri invece gli hanno dato un valore nettamente “spirituale” in modo da fare emergere una contemplazione, una meditazione che possa avvicinare quanto più possibile a Dio; di questa ultima categoria fanno parte i cosiddetti “Holy minimalists”, che oltre a Arvo Part (vedi post prec.), lo scomparso Gorecki almeno per quanto riguarda la sua terza sinfonia (vedi post prec.), Kancheli, Vasks ed altri, comprende anche l’inglese John Tavener (un discendente senza la consonante r nel cognome) del Taverner della metà del cinquecento famoso per i suoi trascorsi nella musica sacra inglese: anch’egli è un cultore di questa particolare forma del silenzio che viene ben spiegata in uno dei libri a lui dedicati, in cui dimostra che tutta la musica proviene dal silenzio e in quello tornerà alla fine…..”viviamo in un’epoca in cui non credo che il suono possa metterci in contatto con i più alti livelli della realtà (si riferisce evidentemente alla realtà spirituale)…così io sono in un limbo….”
Tavener e tutti i personaggi prima citati rappresentano un vero “aggiornamento” della musica religiosa perchè rifiutano i dogmi con cui la stessa si è costruita in più di quattrocento anni di storia: la loro critica si formalizza soprattutto nel fatto che dal 1600 i compositori di musica sacra si sono accostati al lato sacro della musica tenendo presente le conquiste della razionalità e della supremazia della personalità umana, rompendo inevitabilmente quel legame di spiritualità che nel medioevo significava “vera” propensione verso il Divino, con la preghiera e la contemplazione che ben presto saranno i valori dimenticati della civiltà occidentale: ecco quindi che anche John Tavener si affretta a recuperare le antiche forme musicali con le quali la sacralità si manifestava e dopo una iniziale produzione in sintonia con la religione cristiana l’autore si sposta verso quella ortodossa, in particolare quella russa e greca: la polifonia del medievo si unisce a cori bizantini, il canto polifonico ha la stessa valenza di quello monodico, la modernità musicale deve entrare nella composizione solo per rafforzare le antiche tradizioni musicali e quindi non deve percorrere nessun processo di astrazione sonora (anzi la dissonanza è severamente bandita), il tutto deve tendere ad un flusso sonoro semplice che sia conseguenza di un processo di contemplazione divina con gli strumenti che devono limitarsi ad un percorso sonoro teso alla meditazione, un concetto molto universale e quindi non riguardante solo la cultura occidentale. Quest’affermazione è pienamente condivisibile quando si pensa al ruolo che la vocalità ha avuto proprio dopo il periodo rinascimentale: pian piano le voci acquisirono prerogative che pur essendo frutto dei loro tempi si risolsero nel movimento lirico ed operistico che più volte ho sottolineato come sia stato uno degli aspetti controversi e “deteriori” del sentiero fatto della musica classica.
Tavener fece il suo ingresso nel mondo della classica che conta con il suo primo progetto discografico di “The Whale/Celtic Requiem” che fu pubblicato, dopo graditi incontri con i Beatles, su Apple Records, ma il vero passo della maturità fu compiuto nel periodo 1988-1993, quando Tavener ormai spostatosi musicalmente sulla cultura ortodossa, esegue “The protecting veil”, il corale funebre dedicato a Lady Diana d’Inghilterra “Songs for Athene” e “The last sleep of the vergin”. La sua ricerca musicale è continuata anche nel decennio scorso con almeno due opere di grande valore artistico, che lo vedono impegnato in una specie di rimescolamento di culture tra loro diverse: cattolica, ortodossa, arabica negli episodi di “The beautiful names” e “The veil of the temple” che cercano un compromesso musicale, a dire il vero mai tentato in quelle forme, tra il Cristianesimo e l’Islam, ma ancora una volta l’opera ha il fine di ripresentare il vero sentimento del sacro da dopo Cristo fino al 1600, come dice Tavener ..”un tentativo di ripristinare l’immaginazione sacralizzata“: “The veil of the temple” in particolare, non è lavoro di facile lettura, ma la sua struttura,che alla fine risulta dal punto di vista musicale pienamente contestualizzata nei tempi moderni, sembra molto simile a delle meditazioni spirituali sul futuro dell’uomo e in questo come alcuni critici hanno sottolineato può paragonarsi per dimensione religiosa, a lavori atemporali come ad esempio i “Quartets pour la fine de temps” o le “Vingt regards de l’enfant Jesus”di Messiaen.
“Towards silence”, pubblicato dalla Signum Classics è la registrazione in prima discografica dell’opera eseguita nel 2007 nei principali teatri mondiali, e rappresenta gli stati dell’anima della divinità induista Atman, un’anima che chiaramente manda in crisi l’uomo moderno: musicalmente rimanda alle opere con archi del compositore inglese, forse non arrivando ai livelli di “The protecting veil” o “The last sleep of the virgin” ma comunque conferma la significatività degli sviluppi musicali intrapresi ormai già da tempo dal sacralista inglese.
Discografia consigliata:
-The whale/Celtic Requiem, Apple
-English Choral Music: Song for Athene/Svyati, Naxos
-Ikon of light/Funeral Ikos/The lamb, Tallis Scholars, Gimell
-Total eclipse/Agraphon, Harmonia Mundi
-The last sleep of the virgin/The hidden treasure, Chilingirian Quartet, Virgin Cl.
-The protecting veil & Wake up….and die, Yo Yo ma, Sony
-The veil of the temple, RCA