New Age: Piano Solo

0
1150
Keys Notes Piano Keyboard Music Plan

 

Uno dei dilemmi principali della new age ed in particolare dei suoi pianisti risulta essere quello della loro univoca similarità musicale che spesso fa scattare nell’ascoltatore una salda tendenza all’accostamento generale: siamo ormai arrivati alla quarta generazione di pianisti (intesa per decenni) se pensiamo che i primi album di new age solo piano furono pubblicati all’inizio degli anni ottanta; molti pensano che in realtà sia proprio il genere (uso il termine “genere” per esprimere i concetti, ma in realtà è in dubbio che sia valida anche questa espressione) ad aver espresso tutto e subito nell’arco di quindici anni, affermazione che, se è condivisibile riguardo all’evoluzione intercorsa fino ad oggi, pare leggermente controversa qualora si pensi a quel particolare flusso melodico che i pianisti hanno coltivato nella loro preparazione, la cui intensità spesso divide un pianista new age medio da uno decisamente più consistente e conseguentemente i suoi dischi. Certo, la tecnica pianistica non sarà eccelsa, nella maggior parte dei casi non paragonabile ai slanci tecnici dei principali pianisti di appartenenza classica (romantici, impressionisti, espressionisti, ecc.), è però quel modo di suonare estatico, con forte uso delle dinamiche sonore, dei pedali, degli arpeggi ricamati allo scopo solo di “descrivere” un paesaggio, uno stato d’animo, una realtà che risulta molto più importante alla fine dei conti rispetto ad una personale caratterizzazione artistica.
Nelle poche fonti enciclopediche su questo fenomeno recente e come detto per alcuni forse passeggero, correttamente viene indicato tale pianismo, come da “resulta”, ossia influenzato da un’ insieme di generi preesistenti: rock (molti pianisti new age provengono dal rock e sono chiari i riferimenti al pianismo di artisti allora in voga come Elton John e Billy Joel), jazz (Ecm sounds) e in misura meno pronunciata l’ambient, e le colonne sonore dei film americani; se è vero che la new age (anche a livello generale) è un fenomeno nato in America, sicuramente a servizio degli hippies statunitensi, vero è anche, che le sue manifestazioni presero corpo grazie ad artisti americani che incidevano con una certa austerità e tranquillità che era tipica della musica classica occidentale: il primo grande esempio di new age al riguardo nacque proprio in Europa grazie alle registrazioni in casa Eicher dei primi dischi di piano solo di Keith Jarrett, pianista emergente negli anni settanta che condensava nella sua musica echi di gran parte del pianismo conosciuto fino a quel tempo: in particolare il suo più esteso e libero nella forma “Koln Concert”, specie in alcune sue parti sparge già i semi della contaminazione tra pianismo rock (ossia pianismo teso a recuperare melodicità e timbriche atte a rimescolare i generi tradizionali americani rinvenienti dal blues, country, etc.), pianismo jazz (quello che Jarrett ha assimilato tenendo presente le lezioni dei boppers, modalisti e quelli del free jazz) e surrettizie colorazioni pianistiche tendenti alla musica ambientale e classica. Un altro progenitore del pianismo new age può considerarsi Lyle Mays che darà un saggio delle sue moderne propensioni musicali negli album a suo nome e in quelli del Pat Metheny Group nonché per ciò che interessa la nostra trattazione nell’album solo “Improvisations for Expanded piano”; e per questa via importanti possono considerarsi i lavori pianistici di Steve Kuhn, Egberto Gismonti, ed altri ruotanti attorno all’egida dell’Ecm Records.
Quindi in sostanza una “nuova” esplorazione del piano, che in molti momenti, fa pensare ad un pieno recupero delle sonorità del periodo romantico, in una sorta di appendice più rilassata dal punto di vista tecnico, ma che tende ad una piena e contestualizzata meditazione spirituale.
La prima generazione di pianisti new age nasce grazie a George Winston, che con il suo primo album “Autumn” dà il via alla grande stagione del “genere”: Winston viene considerato come uno dei più grandi compositori pianistici di musica non classica suonante musica atmosferica; i suoi omaggi musicali alle stagioni restano non solo pionieristica musicale new age, ma anche uno degli esempi non superati di pianismo che valica i confini con un particolare tocco energico sulla tastiera (rimembranze da clavicembalo) e un sapore progressivo (detto anche folkish) in echi di Mike Oldfield. Se Winston è il re delle stagioni, Michael Jones è il re delle fughe (“Seascapes”, “Pianoscapes”), ma non quelle famose di Bach o dei suoi discepoli, bensì quelle colorate, dense articolazioni di suono che tendono l’idea di un pieno impressionismo musicale. Il suo originale percorso, che sarà poi oggetto di imitazione, continuerà anche nei decenni successivi con album notevolissimi al piano solo come “Morning in Medonte” e “Air Born”. Marcus Allen può invece essere considerato uno dei padri putativi del pianismo new age di stampo neoclassico tanto di moda negli ultimi anni: molto sul versante Satie, leggermente oscuro, “Solo flight” è la lezione che verrà impartita a tutto il movimento “modern classical” e “post-rock” posto sullo stesso versante. Più leggiadro e decisamente più “cantabile” è il pianismo di David Lanz che si impone negli album “Heartsounds” e “Nightfall” che insieme a Peter Kater nei suoi solo “Spirit” e “Anthem” costituiscono la forma musicale più vicina al confine (spesso labile) tra new age senza compromessi e new age di mero consumo; mentre più vicina alle sembianze di Jarrett e Mays è il pianismo soggetto a frequenti cambiamenti di tono della pianista Liz Story. Ma la lista dei valenti pianisti del decennio 1980-1990 non si ferma qui.

Alla fine degli ottanta, mentre da una parte alcuni pianisti arrichiscono la loro espressione cromatica con una digressione che sembra ritornare al classico, la maggior parte sviluppano il pianismo più accessibile di Lanz e Kater: tra i primi troviamo Michael Gettel che nel suo solo “San Juan” fornisce una delle migliore prove pianistiche del genere, con una maggiore velocità di esecuzione e un tocco musicale da documentario, fornisce anche elementi innovativi di simbiosi con il mondo degli animali acquatici; l’altro è Bruce Stark, che nel suo “Shadow Bright” sembra quasi allontanarsi dalla new age dei suoi colleghi, avvicinandosi notevolmente al profilo di un pianista classico moderno. Invece nei secondi troviamo come ottime continuazioni negli albums in solo di Jim Chappell (“Dusk”) e Wayne Gratz (“Reminiscence”), che pur esprimendosi validamente, contemporaneamente fanno intravedere già lo sfruttamento e la ripetizione della formula musicale, che in molti casi si sta anche spostando sulla facile orchestrazione.
La seconda generazione (decennio 1990-2000) di pianisti verrà ben rappresentata da Bill Douglas e Kevin Kern, ma nella prova solo al piano i più interessanti pianisti sono Suzanne Ciani, che pubblica tre volumi di “Pianissimo” dove viene snocciolata al piano solo, buona parte della sua produzione new age strumentale, il primo Jim Brickman di “By heart: Piano solos”, il nostro Ludovico Einaudi con “Le Onde” che realizza un moderno incrocio con le istanze minimalistiche, David Nevue, Greg Maroney e tanti altri che cominciano a introdurre elementi di decadenza (segno probabilmente del sentimento dei tempi degli artisti) in contrasto con il tipico sound benefico che l’aveva contraddistinto, ma in generale, oramai è inflazione di pianisti e le somiglianze conducono spesso all’appiattimento e al deja-vù.
La terza generazione (decennio 2001-2010) consolida la formula del piano solista accompagnato ed è rappresentata nel meglio dai lavori di Michael Dulin, che diventa famoso per “Timeless” con riproposizioni di brani suggestivi di Satie, Chopin, Debussy, etc, ma che io ricordo soprattutto per “Atmospheres”, le pastorali climatizzazioni musicali di Stanton Lanier, l’esuberanza pianistica piena di pathos del Timothy Crane di “The other life i dream”, i ritratti di Fiona Jay Hawkins e l’intensità di Kori Linae Carrothers.

I quindici dischi indispensabili al piano solo:

-George Winston, Autumn, Windham Hill, 1980
-Michael Jones, Pianoscapes, 1981/ Air Born, 1994 Narada
-David Lanz, Nightfall, Narada 1985
-Marcus Allen, Solo Flight, Narada 1987
-Michael Gettel, San Juan Suite, Narada 1987
-Bruce Stark, Shadow bright, M.A. Recordings, 1989
-Peter Kater, Spirits, Silver Wave 1983
-Jim Chappell, Dusk, Music West 1986
-Wayne Gratz, Reminiscence, Narada 1989
-Jim Brickman, By Heart: Piano Solo, Windham Hill 1994
-Ludovico Einaudi, Le Onde, Sony 1998
-Lyle Mays, Improvisations for Expanded piano, Warner 2000
-Michael Dulin, Atmospheres, Equity D., 2004
-Timothy Crane, The other life i dream, Bear Creek Recordings, 2004
Articolo precedenteTowards silence: John Tavener
Articolo successivoPaul Winter e gli Oregon
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.