Alcuni idiomi fondamentali della modernità musicale classica nata in America

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Edgard Varèse, 1936 Flopinot2012 - Own work - CC BY-SA 3.0

 

L’approccio alla musica contemporanea, intendendo per questa già quella primordiale agli inizi del novecento, è sicuramente difficile e apre un dibattito complesso specie sull’utilità di essa per l’uomo: spesso mi è capitato di parlare con persone molto colte e addentrate nell’arte che rifiutavano il mio punto di vista: accettare nell’ascolto musicale un punto di equilibrio tra cuore e tecnica sembra essere un miraggio da raggiungere, ma per me che ho imparato che ci può essere del “buono” in tutti i campi e in tutti i soggetti della vita, ha costituito il paradigma fondamentale. Questo significa però che comunque è auspicabile una scala di valori e sebbene tutte le scoperte musicali meritano la loro rispettabilità è necessario interrogarsi sul valore intriseco ed emotivo che quelle musiche offrono.

 

I primi approcci fonetici per scoprire i primi veri cambiamenti dell’epoca sono quelli di Schoenberg e soci specie per il fenomeno della serialità, mentre per quanto riguarda la modernità americana è indispensabile far riferimento sempre a Ives, Cowell, etc. (vedi mio post precedente sulla tradizione americana). Tuttavia se quei compositori gettarono i semi della modernità, chi fu il primo a raccoglierne i frutti e ad organizzarli in nuova materia sonora fu il francese naturalizzato in America Edgar Varèse: se pensiamo a gran parte delle concezioni orchestrali che ancora oggi ascoltiamo nella musica contemporanea è inevitabile partire dai suoi cambiamenti: nato nell’epoca tarda del romanticismo, Varèse estrasse un proprio “marchio” musicale riferendosi alla maestosità del Wagner sinfonico, alle proiezioni dell’impressionismo francese, fondendoli con la sua primordiale visione di atonalità strumentale che non era utilizzo di serie o di particolari regole matematiche, ma soprattutto creazione di timbrica sugli strumenti e sui ritmi, che divenne la regola imperante qualche anno più tardi nel suo “Deserts” che nel 1954 fissa la nascita della musica elettronica grazie all’uso nella composizione dei nastri registrati, fattori ulteriormente approfonditi nel suo poema del 1958. Le orchestre, le percussioni, i flauti ed in generale tutti gli strumenti acquisiscono una nuova dimensione dove è importante la loro densità, premessa fondamentale per la nascita dell’elettronica spinta e dei suoi ulteriori sviluppi nell’ambito della composizione classica (vedi i spettralisti), come lui stesso spiegava a proposito della “machine à son” richiesta ai produttori di strumenti musicali….”I vantaggi che prevedo sono questi: una macchina simile ci libererebbe dal sistema arbitrario e paralizzante dell’ottava; permetterebbe l’ottenimento di un numero illimitato di frequenze, la suddivisione dell’ottava e di conseguenza la formazione di tutte le gamme desiderate, una serie inaspettata di registri, di nuovi splendori armonici che l’uso delle combinazioni subarmorniche rende possibile; dei suoni combinati, delle differenze di timbro, delle intensità inusuali al di là di tutto quello che possono compiere le nostre orchestre; una proiezione del suono nello spazio mediante l’emissione di essi da una parte o altra della sala del concerto, secondo le esigenze del lavoro; dei ritmi che si incrocieranno indipendentemente l’uno dall’altro, contemporaneamente come un contrappunto…. affinchè questa invenzione possa svolgere tutte le note volute…. in frazioni di note in un unità di tempo o di misura data che è ormai umanamente impossibile da fare”. Oltre a Varèse importante in tal senso fu l’opera del tedesco Stockhausen, a cui può sicuramente imputarsi gran parte dei riferimenti della musica in generale del dopoguerra sia in ambiti jazz che rock, così come non possono essere sottaciuti gli esperimenti pioneristici di Berio, Kagel, Hillier e Xenaxis.
Ma le avanguardie americane non partirorono solo primogeniti campioni delle “macchine”, ci fu l’inizio negli anni trenta/quaranta di un movimento newyorchese che pose le basi per un nuovo rapporto con l’ascolto musicale attraverso lo sviluppo della scienza: John Cage, diede vita ad una serie di “scoperte” che paralizzarono l’edotto mondo musicale classico, perchè costui, in una sorta di nuovo dadaismo, ebbe l’intuizione di rovesciare le convenzioni che erano state stabilite fino ad allora: nacquero nuovi metodi di composizione in alternativa al serialismo partito dalla Germania e che aveva anche in America degli ottimi rappresentati (vedi Milton Babbit), che introducevano la causalità determinata da alcuni congegni che fornivano gli indizi necessari agli esecutori sull’uso delle note: ciò che venne messa in crisi fu proprio il ruolo del “compositore” in uno spazio dove il risultato finale non è voluto da colui che organizza la composizione. Cage non fu l’unico in questa impresa, un altro autorevole figura in tal senso fu Morton Feldman: per coloro che vogliono approciarsi ai due, vi consiglio di ascoltare un cd della New Wordl Records “Music for keyboards 1935-1948/The Early Years”, dove sono raccolte le prime composizioni degli artisti, non ancora incentrati profondamente sulle loro innovazioni e sbilanciate soprattutto sul versante pianistico, ma che sono favolosamente “scolastiche” perchè espressive del punto di vista degli artisti: mentre Cage (che non aveva ancora abbracciato l’alea), risulta un innovante pianista verticale che usa il piano preparato (cioè un piano modificato nel suono grazie ad oggetti inseriti al suo interno) per concepire una nuova materia sonora che dia luogo ad una perfetta libertà sia per l’esecutore che per il fruitore, una sorta di “paradosso musicale” dove anche il silenzio acquista una valenza al pari del rumore, Feldman è un pianista “minimale” che grazie anche alla sua cultura pittorica segnala come alcuni sentimenti vissuti dall’uomo (il mistero, la riflessione, l’ansietà) possano essere racchiusi in una sola formula crepuscolare; Feldman più in là allungò la durata dei suoi brani alla ricerca di una propria estasi artistica che trovasse spazio proprio nella dilatazione musicale, risultando però in molti casi controversa la proiezione emotiva. Oltre a Cage e a Feldman, nel movimento faranno parte anche altri validi autori come Earle Brown e Christian Wolff, tutti autori la cui influenza è ancora viva e presenta nelle nuove generazioni, sebbene in Europa ancora vi sia una forte resistenza alle tecniche utilizzate da Cage e soci soprattutto quelle “aggressive” condotte sul piano, dogma che nemmeno la modernità europea è riuscita a sfatare.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.