La scena jazz di New York negli anni ottanta non fu solo il regno di John Zorn e Bill Frisell (vedi miei post precedenti); attorno a loro e poi autonomamente, si presentarono alcuni musicisti di grosso calibro ma che non dividevano completamente le stesse prerogative musicali tra loro: in Germania, in quegli anni ci fu un’avventurosa casa discografica, la Sounds Aspects (che chiuse battenti qualche anno dopo) che si dedicò discograficamente a questi talenti, e che oggi è stata sepolta dall’oblio nonostante il fatto che oltre alle nuove leve americane fu anche il posto raggiunto per alcune registrazioni da Anthony Braxton e Steve Lacy. 56 dischi in vinile appena che comunque sono ancora reperibili presso negozi internet di importazione.
I più convenzionali degli avanguardisti furono Wayne Horvitz e sua moglie Robin Holcomb: Horvitz, partito come tastierista alle dipendenze altrui, sviluppava un originale sound di nuova generazione, che si divideva tra elettronica al synth campionata, slanci chitarristici rock, trombe “davisiane”, in quel processo di incorporazione di elementi che gli permette di instaurare un rapporto di inversione rispetto a quello decostruttivo che si propone Zorn nella sua musica: se quest’ultimo tende alla vivisezione autentica dei suoni, Horvitz tenta invece un loro improbabile accoppiamento. Il suo modello di creazione non è per nulla scontato e non si pone il problema di un eccessivo strato di “intelettualizzazione” musicale: “Dinner at eight” è il primo passo di un percorso che lo porterà ad unirsi in molti gruppi a tema, per approfondire i suoi gusti musicali che non si fermano solo agli incroci di Hendrix e Davis, ma che coinvolgono tematiche vicine al funk (vedi Zony Mash, Pigpen) e più tardi alla composizione classica (Sweater than day, Gravitas Quartet); ma il gruppo in assoluto in cui l’artista americano è riusciuto più compiutamente nella realizzazione di un intelligente e ricco carnet di elementi di fusione è stato quello dei The President: qui, penso rimarrano le sue opere migliori, specie “Bring Yr. Camera” e “Miracle Mile” e disturba il fatto che dopo quest’ultimo tale esperienza non sia stata mai rinnovata. Horvitz, nell’ultimo decennio ha voluto intraprendere, come molti musicisti jazz di rango, la strada del “chamber jazz”, con episodi non sempre riusciti, qualcuno nella media, qualcuno sopra, grazie all’apporto di un istintiva composizione “obliqua” fatta di chiaroscuri che si riallaccia inevitabilmente alle bellissime registrazioni in trio per la Sound Aspect fatte con Morris e Previte.
Questo senso “obliquo” sarà anche il leit-motiv della carriera discografica (a dir il vero minuta) della moglie Robin Holcomb; quest’ultima, registrò il suo validissimo esordio proprio per l’etichetta tedesca, da molti considerato come il suo miglior disco calato nei meandri jazzistici; poi deciderà di spostarsi molto di più sul versante rock-folk e di abbracciare una scrittura più ampia che comunque rispetterà le sue origini musicali: ne verranno fuori dischi importanti in cui il suo pianismo diviso tra Tristano e Ives, la voce evocativa che sembra richiamare Sandy Denny e Kate Bush messe assieme, le composizioni quasi sempre di alto livello ne fanno una delle musiciste di “confine” più importanti degli ultimi decenni.
Horvitz, come detto prima, collaborò anche con due altri grossi nomi in un progetto degli anni ottanta che partorì due splendidi albums: il cornettista Butch Morris e il batterista Bobby Previte. Quell’incontro fu l’embrione dei futuri percorsi di quegli artisti. In Morris emergeva lo status di compositore e soprattutto quello di “direttore d’orchestra”, ruolo che svolgerà in maniera nettamente più innovativa della New York Composers Orchestra di Horvitz. “Homeing” e “Current trends in racism” mostrano un nuovo tipo di conduzione orchestrale basata sui gesti, in cui è bandita la partitura ed ammessa la piena interazione tra il direttore e i suoi strumentisti; la funzione di Morris è quella solo di trovare l’equilibrio di tutti gli elementi, di applicare la sua gestualità (che era sicuramente un postulato delle teorie della classica contemporanea) in modo da risolvere il problema di musicisti jazz bravi nell’improvvisazione ma scadenti se guidati nella convenzionalità di un gruppo orchestrale e musicisti classici bravi nell’esecuzione ma realmente impacciati nell’improvvisare.
Eccellente batterista e più tardi anche compositore, Bobby Previte nel suo esordio “Bump the renaissance” pur non avendo ancora una piena maturità compositiva, getterà le basi per il suo personale modo di condividere le novità che rinvengono dall’accostamento del suo veloce e scattante be-bop al rock, e soprattutto ad un certo tipo di cultura classica. Da “Bump the renaissance” in poi, il musicista newyorchese ha attraversato un continuo trend di miglioramento che lo ho portato a scrivere alcuni dei migliori episodi di fusione tra generi e, successivamente nel 2002, le splendide vignette sonore delle “Constellations of Mirò”. Un’altro esordiente batterista con altrettante doti di compositore era Gerry Hemingway che registrò per la S.A. “Outerbridge Crossing” e “Tubworks”, il primo in un quintetto in cui figuravano Ray Anderson e Mark Helias, il secondo in solitudine percussiva, che ne dava la misura della sua bravura ma ne usciva nettamente più sperimentale.
Horvitz, come detto prima, collaborò anche con due altri grossi nomi in un progetto degli anni ottanta che partorì due splendidi albums: il cornettista Butch Morris e il batterista Bobby Previte. Quell’incontro fu l’embrione dei futuri percorsi di quegli artisti. In Morris emergeva lo status di compositore e soprattutto quello di “direttore d’orchestra”, ruolo che svolgerà in maniera nettamente più innovativa della New York Composers Orchestra di Horvitz. “Homeing” e “Current trends in racism” mostrano un nuovo tipo di conduzione orchestrale basata sui gesti, in cui è bandita la partitura ed ammessa la piena interazione tra il direttore e i suoi strumentisti; la funzione di Morris è quella solo di trovare l’equilibrio di tutti gli elementi, di applicare la sua gestualità (che era sicuramente un postulato delle teorie della classica contemporanea) in modo da risolvere il problema di musicisti jazz bravi nell’improvvisazione ma scadenti se guidati nella convenzionalità di un gruppo orchestrale e musicisti classici bravi nell’esecuzione ma realmente impacciati nell’improvvisare.
Eccellente batterista e più tardi anche compositore, Bobby Previte nel suo esordio “Bump the renaissance” pur non avendo ancora una piena maturità compositiva, getterà le basi per il suo personale modo di condividere le novità che rinvengono dall’accostamento del suo veloce e scattante be-bop al rock, e soprattutto ad un certo tipo di cultura classica. Da “Bump the renaissance” in poi, il musicista newyorchese ha attraversato un continuo trend di miglioramento che lo ho portato a scrivere alcuni dei migliori episodi di fusione tra generi e, successivamente nel 2002, le splendide vignette sonore delle “Constellations of Mirò”. Un’altro esordiente batterista con altrettante doti di compositore era Gerry Hemingway che registrò per la S.A. “Outerbridge Crossing” e “Tubworks”, il primo in un quintetto in cui figuravano Ray Anderson e Mark Helias, il secondo in solitudine percussiva, che ne dava la misura della sua bravura ma ne usciva nettamente più sperimentale.
La Sounds Aspects darà inoltre alle stampe il primo album del sassofonista Marty Ehrlich, “The Welcome” (non ancora ristampato in cd) che se da un lato non mostra ancora la sua vera personalità artistica (che arriverà negli albums successivi), dall’altro porterà alla ribalta un’eccezionale interprete dello strumento.
Discografia consigliata: (tutti Sound Aspects)
Wayne Horvitz, Butch Morris, Bobby Previte Trio-Nine Below Zero, 1987.
-Todos Santo, 1988.
-Todos Santo, 1988.
Robin Holcomb:
-Larks they crazy, 1989
-Larks they crazy, 1989
Butch Morris:
-Current trends in racism in modern America, 1985
-Homeing, 1987
Bobby Previte:
-Bump the renaissance, 1985
Gerry Heminghway:
-Outerbridge Crossing, 1985
Marty Ehrlich:
-The welcome, 1984