Il progetto musicale di Courtney Pine (inglese, classe 1964) era quello di creare un punto d’incontro musicale per le pluricategorie di ascoltatori. Pluristrumentista, ma particolarmente efficace al sax, Pine con “Journey to the urge within” , suo album d’esordio, introdusse un nuovo modo di carpire le potenzialità del jazz con quelle delle classifiche commerciali: da una parte viene rinverdito in maniera abbastanza esplicita il sound di “My favourite things” di Coltrane (il brano lungo, modale dove massimo è l’elemento catalizzatore in trance dinamica donato all’ascolto) e quello boppistico di Sonny Rollins; dall’altra la passione per i ritmi esotici (il raggae di Marley, soprattutto) e quella verso tutte le culture musicale “nere” (soul, funky e più tardi rap, hip-hop, etc.) costruisce il suo melting-pot, che poi a ben vedere tiene comunque ben distanti le due anime con episodi separati. La discografia di Pine sarà improntata tutta con quello scopo, con un evidente aggiornamento alle culture danzabili che la musica afroamericana aveva subito nel frattempo: “Destiny songs”+”The image of pursuance” fu, (per il sottoscritto che ama la serietà compositiva nel jazz), il suo picco artistico, in una discografia comunque abbastanza omogenea: qui, lo si può apprezzare, per un mood artistico in possesso di una forte dinamicità, con graffi strumentali che lo pongono al di fuori delle solite tematiche sfruttate dai sassofonisti; molti indicano come suo miglior disco “The Eyes of creations”: Pine in quell’episodio diede l’impressione di una visione “allargata” del jazz moderno, confermando il suo talento che era chiaramente in cerca di un jazz universale, cosmopolita, che voleva impressionare anche coloro che non si cibano di musicalità “prelibate”, con la prerogativa di scuotere anche la situazione jazz inglese che negli anni ottanta vedeva carenza di giovani “leoni” da lanciare. Dopo “Underground”, vicinissimo all’acid-jazz, Pine ha messo il piede sull’acceleratore dell’integrazione con le basi danzerecce (soul, drum’n’bass, hip-hop, etc.) risultando però sempre più vicino alle classifiche e molto meno convincente sul piano jazzistico, che in realtà sembra ormai quasi annullato. “Europa” segna il ritorno ad jazz più convenzionale, con un nuovo progetto incentrato sulle origini dell’Europa (con una serie quindi di riferimenti relativi) con Pine che suona solo il clarinetto basso, in una prospettiva che sbiadisce i confini stilistici in modo simile a quella intrapresa da clarinettisti come Don Byron.
Discografia consigliata:
- Journey to the Urge Within (1986) – UK #39 (posto raggiunto nelle classifiche di gradimento inglesi)
- Destiny’s Songs + The Image of Pursuance, Polygram, 1988 – UK #54
- The Eyes of Creation, Universal ,1992
- Modern Day Jazz Stories, Talkin’ Loud, 1995
- Underground, Univeral,1997