Ladysmith Black Mambazo e l’etnica che fu!

0
494
Source https://www.flickr.com/photos/raph_ph/41036851484/in/album-72157695502428854/ Author Raph_PH - Creative Commons Attribution 2.0 Generic license.
Ricordo che alla pubblicazione discografica di “Graceland” di Paul Simon, il filone “world music” era in pieno fermento. In quel disco, che materializzava una volta per tutte i legami tra la pop music e le lande africane, rilevante fu l’apporto di Joseph Shabalala, che assieme al suo gruppo fece scoprire alla comunità musicale nuovi tipi di canto (“mbube” e “isicathamiya”), cantati a cappella, con un dovuto grado di equiparazione geografica al sound delle chiese gospel nere: ma con un sapore e delle caratteristiche alquanto personali. I Ladysmith Black Mambazo, ancora lontani dall’avere un successo planetario, si imponevano per aver coniato un linguaggio di elevazione spirituale che cercava di alleviare la disperazione dei minatori zulu sui posti di lavoro. Poi, non appena i contatti con il mondo del business si intensificarono, così il suono dei sudafricani soffrì di un impercettibile ma chiaro processo di “occidentalizzazione” musicale, con melodie e armonie che spesso sfociavano in qualcosa che non era abbastanza puro. Forse Simon (loro produttore per tre albums) e gli esponenti del business musicale, si limitarono alla preservazione del patrimonio armonico del gruppo, senza forse impegnarsi in qualche operazione ibrida (magari con l’introduzione di un maggior numero di elementi musicali), che potesse rivelarsi come sviluppo di una formula che irrimediabilmente nel tempo acquisiva caratteri di prevedibilità. Purtroppo, tranne qualche sparuto episodio, questa vetrina di musica risaputa, non abbandonò più il gruppo che ad un certo punto diventò più importante per essere portavoce nel mondo dei problemi politici e sociali del loro paese più che per l’intrinseco valore della musica ormai in preda ad un pronunciato manierismo. Io però ho voluto ricordarli, non solo perchè parteciparono all’incisione storica di Paul Simon, ma anche per il loro primordiale istinto “armonico” le cui fondamenta tradizionali restano ancora oggi qualcosa di realmente eccitante sulla scena etnica (ormai profondamente esplorata). E di questo dobbiamo ricordarcene!
Discografia consigliata:
-Ulwandle Oluncgwele, Shanachie 1985
-Umthombo Wamanzi, Shanachie 1988
-Inala, Shanachie 1986
Liph’ Iquiniso, Shanachie 1994
 
Articolo precedenteGeorg Friedrich Haas
Articolo successivoLa passionalità nel sassofono jazz: Parker e Coltrane
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.