In uno dei più bei articoli (costituito in inserto accompagnato da vinile) fatto da Marcello Piras su Musica Jazz in uno dei primissimi numeri della rivista, emersero finalmente aspetti critici che si accingevano ad evidenziare la vita artistica di Charlie Parker, non a torto il primo improvvisatore in assoluto del jazz, colui che trasferì in maniera incondizionata nello strumento sax, il concetto di “passione” (intesa come emozione, stato emotivo) per la musica. Grazie anche alle evoluzioni stilistiche che negli anni quaranta stavano soppiantando il jazz “tradizionale” fino ad allora masticato, Parker riuscì mirabilmente a creare nel jazz la prima vera “mente” musicale che non era quindi solo retaggio vissuto di un certo ambiente musicale. Ellington, per fare un esempio, fu un maestro della composizione ma dovette servirsi dei musicisti per trasferire il proprio bagaglio creativo; Parker invece attuò direttamente questo passaggio dentro di sè, con un coordinamento immediato tra il concepire un tema musicale e la sua trasposizione strumentale. Non sto qui a ricordarvi perchè Parker fosse apprezzatissimo anche a suo tempo (l’articolo di Piras al riguardo era di una profondità impressionante), in questo vi sono numerose fonti che vi potranno aiutare; quello che mi preme sottolineare è che Parker ha creato un modello iniziale di riferimento per tutti gli improvvisatori jazz (come spesso si dice in giro: il jazz prima e dopo Charlie Parker): nonostante una bassa qualità di registrazioni (dovute al periodo storico in cui l’americano incideva), che spesso non fanno emergere certe caratteristiche, Parker dimostrò in molte occasioni attraverso la sua musica, un interesse subdolo verso la musica contemporanea colta europea del primo novecento traendone riflessioni, spunti, sebbene rimase musicalmente vicino alla sua America travagliata; il suo scopo era in definitiva quello di suonare jazz con la prerogativa di scovare nel sax alto il massimo allineamento possibile tra tecnica ed emozioni, in un modo non dissimile a tanta composizione classica (i compositori europei romantici, Schoenberg e Stravinsky erano spesso oggetto di sue citazioni), nonchè in riferimento alla nascente nuova “classica” statunitense di Gershwin ed Ellington, che altro non era che le sue origini; quella ricerca spasmodica di un flusso emotivo (nel suo caso leggiadro e quasi sorridente) da abbinare ad un solismo eccelso, trovò un Parker più legato alle sue origini geografiche che all’immensità della scrittura europea che comunque tanto apprezzava. Disse Edgar Varese a proposito dell’incontro con Bird….”era come un bimbo, con la scaltrezza di un bimbo. Era animato da un entusiasmo travolgente. Entrava ed esclamava: “mi prenda come prenderebbe un bambino e mi insegni la musica. Io so scrivere solo a una voce. Voglio una struttura. Voglio scrivere partiture per orchestra….” Quindi tanta creatività non esprimibile solo in un sax e una passione incontenibile da sviscerare.
John Coltrane costituì da questo punto di vista la sua maggiore estensione dinamica. E’ un filo diretto quello che unisce i due artisti, quasi come se le due vite potessero essere messe in collegamento da un punto di vista temporale. La storia jazz si è servita di loro per poter esprimere in tutta compiutezza le tematiche che doveva affrontare: se Parker era stato l’emblema del fraseggio lungo o veloce con una notazione basata sulle cromaticità a dismisura, Coltrane approfondì quelle frasi tenendo presente anche il senso ritmico della composizione (sviluppò un notazione del pentagramma che che si basava sull’uso di più raggrupamenti di note tra loro separate in modo autonomo) rompendo con gli schemi ritmici dei jazzisti del tempo; ed inoltre si diresse (con un approccio graduale) verso una esplorazione completa del sax tenore (nelle estensioni dei timbri, nella diteggiatura, nei glissandi, etc.) che fu pian piano funzione anche della ricerca di una spiritualità che sembra mancare nell’opera di Parker. L’approdo inevitabile fu l’accoglimento, prima di una piena comunione tra senso religioso ed improvvisazione, che superò i dettami boppistici di “Giant Steps”, in “My favourite things” e” A love Supreme”, dove lo sviluppo del modalismo e di alcune scale pentatoniche lo avvicinarono paradossalmente a Debussy (uno dei compositori più apprezzati anche da Parker, guardacaso!) e poi nell’apparente orgia strumentale di “Ascension” che, vista in prospettiva, potrebbe costituire il punto di partenza (e per molti, forse di arrivo) della piena estremizzazione della libertà di espressione del musicista. Coltrane dimostrerà ancora con altri episodi il suo pieno fervore dando la netta sensazione di attraversare un miglioramento stilistico continuo fino alla sua morte, specie con i suoi dischi “cosmici”, ma conservando sempre quella caratteristica di passionalità, che lo renderà immortale nella storia della musica; uno dei musicisti che tutti, ancora oggi, cercano di imitare, spesso riprendendo solo le impostazioni accuratamente studiate, ma senza riuscire a far entrare nello strumento quella vera forza interiore che il sassofonista possedeva.
Discografia consigliata:
Charlie Parker
-Bird of paradise, vol. 1, Jazz Hour 1941
-The complete Verve Master Takes, 3 cd, Verve 1968
-Diz’n’Bird at Carnegie Hall, Blue Note 1947
-Bird & Diz, Verve 1950
John Coltrane
-Blue Train, Blue Note 1957
-Giant steps, Atlantic 1959
-Olè Coltrane, Atlantic 1960
-My favorite things, Atlantic 1961
-Africa Brass, Impulse 1961
-Impressions, Impulse 1961
-Crescent, Impulse 1964
-A love supreme, Impulse 1964
-Ascension, Impulse 1965
-Kulu se mama, Impulse 1965
-Meditations, Impulse 1965
-Expression, Impulse 1967
-Interstellar space, Impulse 1967