Robin Guthrie è stato un asse portante della musica ascoltata dai giovani negli anni ottanta: rispolverando fino all’osso la decadenza e l’introspezione della musica rock, dai King Crimson più eterei degli esordi fino alle interiori posture punk di Siouxsie, creò il “dream pop”, sottogenere della musica pop/rock destinato ad avere un’influenza vastissima su molta della musica a venire. Dopo una filtrante carriera con il gruppo dei Cocteau Twins e molte collaborazioni, nel 2002 intraprese la carriera solistica che altro non era che quello che faceva con i Cocteau Twins deturpando la musica dalle vocalità e dalla strumentazione più aggressiva; la sua chitarra costruita in “landscapes” ipnotici e blandi è stata una delle intuizioni più originali che la musica ha conosciuto. Tuttavia la sua carriera solistica (intrapresa solo recentemente) è un’operazione per “sottrazione”, che ha mostrato una certa monotonia nel riproporre i nuovi temi, tutti pienamente “ambientali”, con il riverbero della chitarra come segnale distintivo, ma con una formula musicale purtroppo spesso scontata. In definitiva, la variante ambientale risultava più “pesante” da digerire rispetto ai quadretti “dream” dei Cocteau Twins. Comunque, i suoi sforzi per edificare uno status musicale anche nella musica ambient, hanno avuto un’ottima finalizzazione nelle collaborazioni con Harold Budd: in concomitanza con gli anni del pop, spesso Guthrie curava la strumentazione di Budd con risultati spesso notevoli, finchè non è nata una collaborazione ancora più stringente. Quegli effetti costruiti e processati per quanto fossero epigoni delle omonime operazioni al banco dei suoni fatte da Budd con Eno, tuttavia funzionavano per il notevole contrasto che si riusciva a creare nella composizione: quell’effetto soporifero, un pò risaputo che Guthrie imprimeva alla sua musica veniva smorzato dalla favolosa semplicità di suoni del piano di Budd.
Budd cominciò la sua carriera riproponendo il minimalismo nello stile di La Monte Young. Inizialmente si impose per le sue innovative idee sulla musica e sulla partitura: una delle idee ricorrenti era quella di sfruttare la composizione con caratteristiche simili in modo da poter creare dei moduli interscambiabili; inoltre era un propugnatore della bellezza grafica dello spartito, che doveva presentarsi ed essere giudicato (come in una bella opera architettonica) gradevole nel suo intrinseco aspetto fisico. Budd, però, passò poco tempo nelle avanguardie derivate dalla musica classica, poichè sposò il progetto di Brian Eno, diventandone parte fondamentale. A proposito di “The madrigals of the rose angels” Budd spiegava: ..”..quando dico a qualcuno “suona silenziosamente“ gli dico anche di “suonare al limite di quel punto che può rovinare l’intero pezzo. Così ho deciso che il mio ruolo di compositore deve essere sacrificato da quello dell’esecutore, perché sono l’unico che realmente capisce quello che si dovrebbe fare. Per mia impostazione, sono diventato un esecutore che non realizza il desiderio di esprimere sè stesso, ma quello di proteggere la mia idea….”
Eno e Budd collezioneranno parecchie opere nell’ambient, facendo cose che non erano state fatte prima in musica: queste opere istituiscono una zona tranquilla della musica, uno stile crepuscolare su cui il piano “silenzioso” di Budd è la fonte su cui Eno lavora per ricavare, attraverso sussurri di elettronica o attraverso processi di mutazione trattati in tempo reale, un ideale suono di “ameublement”. Eno venne catturato dalla novità di “The pavillon of dreams”, che mostrava un volto “immacolato” dell’ambient music: sono gli strumenti come il sax o il piano oppure le vocalità dei soprani che caratterizzano i brani e non tanto i procedimenti elettronici. Quell’album, che per via della sua struttura non era ancora perfettamente in linea con i progetti di Eno, rimarrà uno “standard” (specie “Juno”), che poi darà luogo ad una miriade di imitatori non solo nell’ambient music ma anche nella sua variante new age.
Budd confessava spesso nelle sue interviste di non essere un pianista professionista, sebbene fosse uno studioso della musica (spesso utilizzava piani preparati nello stile minimalista di origine): diceva di non avere doti atletiche nella diteggiatura al piano, nè addestramento sulle tecniche pianistiche. Tutto quello che faceva era improvvisato, estemporaneo e tendeva a sviluppare un’idea che era distante dai lessici della materia classica; ma quell’idea era una rarità per quei giorni: Budd al piano è riuscito miracolosamente nell’impresa di portare a compimento un disegno su una tela, senza avere tutte le cognizioni necessarie per dipingere e lo ha fatto con grande suggestione. Non ha sbagliato un disco almeno fino a “White Arcades” del 1986 (sempre con l’intervento di Guthrie), poi cercò di applicarsi maggiormente sulle interazioni con il piano, facendo pensare a tutti che stesse perdendo l’ispirazione dato che le soluzioni risultavano irrimediabilmente meno accattivanti dal punto di vista musicale (gli episodi al piano di “Through the hill”, le vignette di “Luxa” e “The Room”, ma “Music for 3 pianos” era già un mezza eccezione); per molta critica bisognerà aspettare “Avalon Sutra/As Long as I can hold my breath” nel 2005, nonchè proprio le registrazioni fatte con Guthrie per poter affermare che Budd avesse risollevato la testa. In realtà l’artista stava tentando di recuperare un certo impressionismo pianistico che però non gli era pienamente congeniale. La musica di Harold era come una seduta dallo psicologo, una specie di rilassamento terapeutico che, però, a differenza di tanta musica ambient/new age nata solo per quello scopo, era più un effetto che causa: la verità è che Budd voleva scandagliare l’intimo, esprimere situazioni diverse, dalla desolazione ai sentimenti ignoti ed aveva capito che bastavano solo buone idee per raggiungerle.
“Bordeaux”, quarta collaborazione ufficiale di Budd e Guthrie, sebbene faccia sorgere il ragionevole dubbio di aver raggiunto il capolinea nelle costruzioni di insieme dei due musicisti, dimostra una valenza di originalità nel genere che la gran parte dei musicisti non riesce ad avere. Però, se “Mysterious skin” e “After the night falls” erano più concentrati e gratificanti nell’ascolto, “Bordeaux” sembra essere un episodio incolore, fatto con poca anima.
Discografia consigliata:
Robin Guthrie/Harold Budd:
-Lovely Thunder, Editions EG 1986
-The moon and the melodies, 4AD, 1986 (con Elizabeth Fraser e S. Raymonde)
-The white arcades, Opal 1988
-Mysterious skin – Music for the film, Commotion 2005
-After the night falls, Darla R. 2007
Robin Guthrie:
-It’ll end in tears, 4AD 1983 (con i This Mortal Coil)
-Head over heels, 4AD 1983
-Treasure, 4AD 1984
-Blue Bell Knoll, 4AD 1988
-Imperial, Bella Union 2003 (consigliato solo per avere un’idea del suo progetto ambientale)
Harold Budd
-The pavillon of dreams, Edition EG, 1978
-The plateaux of mirror 1980 e The Pearl 1984, Editons EG (con Brian Eno)
-The serpent in quicksilver/Abandoned city, Opal 1981/1984
-Music for 3 pianos, All Saints R. 1992 (con Daniel Lentz e Ruben Garcia)
-Avalon Sutra/As I long as I can hold my breath, Samadhi Sound, 2005