Nel 1993 Bruce Adams e Joel Leoschke diedero vita a Chicago all’etichetta indipendente della Kranky: la centralità di questa creazione consisteva nel raccogliere tutte le istanze che provenivano dal mondo dei giovani del rock che fino ad allora aveva attraversato fasi “normali” di evoluzione. L’entrata in campo nel decennio precedente di un certa definizione del suono, filiazione dei movimenti rock inglesi ed americani che avevano sposato un evidente rallentamento delle dinamiche, l’intuizione “minimale” della musica ambient di Eno, nonché la nuova fase “gotica” (cioè spostata sul piano sugli umori che divenivano deprimenti) abbracciata dalle nuove generazioni di musicisti, furono gli elementi che spinsero i nuovi artisti a confrontarsi su un altro livello: così come nella musica classica contemporanea l’attenzione si era già da tempo spostata sui timbri e quindi in definitiva sull’esplorazione dei suoni in modo computerizzato, anche nel rock maturò un ambito di influenze che andava oltre le mere caratteristiche di partenza. La Kranky nelle persone dei due fondatori, capitalizzò subito quei fermenti agli inizi dei novanta accogliendo al suo interno musicisti che per ovvie ragioni stilistiche erano vicini a quel ideale musicale: molti di questi artisti erano musicisti partiti dalla psichedelia, altri erano esperti di elettronica musicale; si sviluppò un vero e proprio sound “kranky” che altro non era che una specificazione dei movimenti cosiddetti post-rock. Dal momento che molta critica vedeva in quella definizione elementi di varia natura, non fu subito riconosciuta all’etichetta di Chicago un proprio status nell’ambito del post-rock, ma senza dubbio la stessa si riconosceva in una serie di gruppi in qualche modo imparentati con una sorta di psichedelia “ambientale”, i cui elementi erano Pink Floyd anni sessanta, Cosmic Music alla Schulze e affini, i movimenti pop alla 4AD, i gruppi alla Jesus and Mary Chain, l’Eno sia nella parte pop che ambient, i suoni industriali. Ne derivò un prodotto caratterizzato, che l’etichetta seppe anche gestire nelle sue modalità di sviluppo. In questo post il mio interesse è menzionare solo quegli artisti (più rappresentativi) che più hanno cercato di dare nuove rappresentazioni alla formula ambientale.
Uno dei più importanti ed iniziali progetti della Kranky fu quello dei Labradford che con il loro primo disco “Prazision” del 93 diedero vita al primo numero della casa discografica: quel disco seminale, che fornisce un quadro abbastanza significativo della nuova situazione musicale, mise in evidenza le personalità di un duo Carter Brown e Mark Nelson, condiviso tra l’estetica dell’ambient e le qualità allucinogene della psichedelia. Tuttavia questo secondo aspetto, grazie a Nelson che separatamente formerà il gruppo dei Pan American, verrà sempre più accantonato per dar vita ad una forma di ambient che avesse prerogative di fusione con il dub e i generi al confine con la dance prima, per assumere, poi, forme più dronistiche di suono, con evidenti benefici nelle trame sonore che perdono anche quella caratteristica tipica del pop/dream o slow-core (non sempre accettabile) che vede le evoluzioni sonore accompagnarsi da una voce “bisbigliata” o “sussurrata”. Il drone, elemento quasi univocamente utilizzato da molte parti della musica in generale, è l’elemento catalizzatore di alcuni artisti che tentano di utilizzarlo in chiave di costruzione sonora: comincia a maturare l’idea di progetti architettonici della musica di tipo “interiore” che si possano esprimere attraverso un uso intelligente del drone stesso e di altri fattori elettronici per pervenire ad una nuova forma di arte sonora moderna: è il caso di Tim Hecker, Loscil, delle costruzioni minimali di Keith Fullerton Whitman (vedi miei post precedenti), ma anche di musicisti come gli Stars of the Lid (Brian McBride e Wiltzie Adam), Windy e Carl (Windy Weber e Carl Hultgren) e qualche anno più tardi delle composizioni di Greg Davis e Gregg Kowalski, dell’evoluzione stilistica di Yume Bitsu nella sua variante dei White Rainbow.
Si apre un campo molto rischioso per gli artisti, poiché la drone music può rivelarsi un fallimento se non riesce nell’ambito musicale a far seguire le idee del compositore: diventa importante stabilire se con gli strumenti in drone si riesca in maniera subliminale a superare quella lastra apparente di incomunicabilità che la struttura stessa propone. Se già con la musica cosmica tedesca si paventava un nuovo modo di approccio all’ascolto, dopo l’ambient di Eno è necessario una vero e proprio superamento dell’ottica con cui si affronta l’ascolto del cd: sia Windy & Carl, che gli Stars of the Lid possono essere considerati precursori di questo genere (drone) oggi largamente usato, che gioca attraverso gli strumenti musicali (chitarre usate in drone e in generale utilizzo minimale dell’elettronica) su un approccio quasi totalmente minimalistico nella sostanza, per teorizzare paesaggi diversissimi tra loro, che possono avere un range che va dalle visioni capillarmente cosmiche dell’universo fino ai paesaggi interiori dell’uomo (sia quelli più positivi e spirituali, sia quelli più isolazionisti e negativi, o tendenti a scenari apocalittici). Su questi binari la Kranky negli ultimi anni avrà altri validi appoggi artistici nei lavori di Greg Davis, che dopo essere partito (non in casa Kranky) con un sound immerso nella novità folktronica (il connubio tra ambient, elettronica e folk) virerà con “Somnia” in strutture dronistiche e nei lavori di Gregg Kowalski che specie nel suo esordio “Through the cardial window” e nelle esperienze parallele dei Tape Chants, dimostra come, grazie alla rimodulazione ambientale di fasce di suono ottenute attraverso l’ausilio di nastri, si possa condividere la dimensione “impressionistica” dei drones, così come è fatto consolidato nella musica classica contemporanea. (grazie a tutte le ricerche fatte sulla microtonalità, sugli spettri, etc.) Tra i musicisti rappresentativi della tecnica in drone, ma più rispettosi della cultura ontologica degli strumenti (l’utilizzo integrato del piano, chitarre, ecc. con laptop ed elettronica di modificazione) devono considerarsi Chihei Hatakeyama il cui sforzo “Minima Moralia” su Kranky è un pregnante esempio di elettronica viva, e Chris Herbert con “Mezzotint”, un degno successore di Eno che cercherà di veicolare in un’unica produzione tutte le principali novità che l’elettronica ha avuto negli ultimi anni (dalla musica concreta al glitch).
10 Dischi Kranky consigliati:
-Labradford, Labradford, 1996
-Tim Hecker, Ravedeath 2011
-Stars of the Lid, Ballasted Orchestra, 1997
-Windy & Carl, Dephts, 1998
-Pan American, 360 Business 360 Bypass, 2000
-Loscil, Submers, 2002
-Chihei Hatakeyama, Minima Moralia 2005
-Keith Fullerton Withman, Lisbon, 2006
-Gregg Kowalsky, Through the cardial window, 2006
-White Rainbow, New clouds, 2009