Spesso i musicisti new age vengono accusati di non essere adeguatamente al passo del vento delle novità in elettronica: uno dei più dibattuti temi in materia prende spunto dall’utilizzo dei sintetizzatori. Se la composizione nella musica colta sembra non essere interessata ad un suo approfondimento, per ovvie ragioni il problema è diametralmente opposto in quell’àmbito che riguarda i musicisti ambientali e new age; per ciò che concerne questi ultimi gruppi, l’idea principale è che il synth sia più frequentato ed accolto nella composizione new age, mentre quelli ambientali cercherebbero una dimensione diversa sulla base del supporto del computer, che comunque permette di memorizzare anche i suoni del sintetizzatore. Poichè il problema riguarda solo le particolari timbriche che un musicista vuole perseguire, sembra logico che molti musicisti ambient abbiano scelto di comporre sul computer perchè interessati ad evoluzioni sonore con timbriche diverse, con elementi sonori che in qualche modo si avvicinino al loro status espressivo di compositore; nella new age l’uso del sintetizzatore ha una valenza funzionale di rilievo e segue una rotta storica che va dalla musica cosmica dei Tangerine Dream alle evoluzioni di Vangelis e Jean Michel Jarre, passando per tutte le generazioni successive (da Roach a Rich) tese a replicare con formule potenzialmente diverse la composizione quasi esclusivamente generata dallo strumento.
Due talenti emersi in Spagna negli ultimi anni e caratterizzati dall’uso predominante del sintetizzatore, sono Bruno Sanfilippo, argentino stabilito a Barcellona e Max Corbacho, dell’area di Badajoz, sudest della Spagna: continuatori delle costruzioni sonore di Brian Eno e Steve Roach, i due spesso saranno accomunati per la ventata di freschezza apportata nel circuito, e la perizia raggiunta nei risultati musicali suggellando la loro popolarità negli ambienti con un disco fatto in collaborazione nonchè con la creazione di una propria label la ad21music. Se nelle loro discografie vengono soddisfatti quasi sempre i bisogni di meditazione e di introspezione, quello che è difficile da raggiungere spesso è l’aspetto subdolo, il tentativo di rappresentare la realtà dell’esaminato in maniera compiuta. (come dire… “l’occhio della mente”). Sanfilippo riuscirà in quest’impresa solo saltuariamente, quando si libererà dall’influenza ingombrante di Vangelis, (con la bellissima “Suite Patagonia” ad21music 2000), affrontando negli ultimi anni anche un certo cambiamento, (dopo diversi sterili tentativi di riproposizione delle sue forme sonore), con le “tessiture” al piano con droni in accompagnamento. Il recentissimo “Subliminal Pulse”, media le ultime istanze neoclassiche dell’artista con uno sfondo totalmente ambientale ben arricchito e può rappresentare finalmente un degno ritorno all’emotività sonora. Più omogenea e pregnante è la carriera discografica di Corbacho, con vari punti di riferimento stilistici che abbraciano elementi di derivazione appartenenti soprattutto alla sfera di Steve Roach e Robert Rich, con un quid di concretezza e una leggeratura venatura dark a sostegno della sua personalità musicale. Si va da atmosfere tribali ben congegnate a spazi di suono sospesi, in ideali risulte di risonanza acustica, che mostrano un musicista in possesso di una profondità musicale che non ha nulla da invidiare a Roach. Dopo un iniziale periodo musicale in cui accanto alle sue atmosferiche composizioni condivide anche l’esperienza ritmica alla Hassell o Rich, si libera gradatamente di quest’ultima per dare vita a composizioni dronistiche: tra i primi sono significativi “Nocturnal Emanations” (ad21music, 2003) e “Moontribe” (ad21music, 2004), ma il suo capolavoro pensò resterà “The Resonant memory of earth” (Space for music 2002, ristampato ad21 2009), in cui riesce a calibrare a meraviglia i suoni atmosferici con l’aspetto ritmico, in una sorta di nuovo stato di percezione acustica atemporale che riesce nel trasporto induttivo di una ipotetica memoria parlante del globo. Notevole sarà anche “Talisman” (ad21music, 2006)
In definitiva due ottimi artisti che hanno lavorato intuitivamente per aggiungere contributi alla space music senza farsi troppo agganciare dalle ripetizioni di difficili modelli di un genere che soffre visibilmente di soluzioni non particolarmente originali e d’impatto.