Lo scorso anno fu pubblicato un cd risultato della collaborazione tra riconosciuti musicisti cubani e africani (in specie del Mali): un aggregato stilistico che, se visto dalla prospettiva cubana, metteva in luce come anche la cultura musicale centro-americana sia stata influenzata dai flussi migratori provenienti dall’Africa. Il progetto ha avuto un grado di amalgama quasi naturale e, sebbene alla fine lasciasse un senso di una non totale completezza, riproponeva due dei paesi più fervidi ed innovativi per lo sviluppo degli stati emotivi nella musica etnica. A Cuba, fare musica liberamente nel Novecento non è stato certamente facile, soprattutto per i noti motivi politici, e solo una forte presenza popolare trasferita nella musica e nei suoi peculiari e ampi ritmi ha evitato una stasi imperdonabile: il movimento Buena Vista Social Club, portato alla ribalta da un stupefatto Cooder, fu probabilmente l’atto finale di qualcosa che era già nata da molto nel paese: il jazz in Cuba fu constantemente al passo con le evoluzioni stilistiche americane, ma con quella variante “ritmica” che veniva inserita nella composizione: in tal senso personaggi come Chucho Valdes rivestono un’importanza fondamentale e oggi nonostante l’avanzata età anagrafica, continua ad essere un punto di riferimento per un genere di jazz che sembra inflazionato: il secondo lavoro (a distanza di 14 anni) con Omara Portuondo riallaccia magnificamente i rapporti tra il vero jazz cubano e quello dei “vecchietti” di Buena Vista: Valdes è stato uno dei pianisti più sottovalutati della storia del jazz, in possesso di uno stile che partendo da una base molto vicina al modalismo di McCoy Tyner, e le acrobazie di Oscar Peterson, inseriva nella composizione, il suo substrato ritmico-culturale. Il romantico e al tempo stesso moderno pianismo di Valdes o quello misconosciuto di Ruben Gonzales dei Buena Vista, dimostrano come Cuba avesse in serbo un personale contributo alla storia musicale contemporanea, che era espressione di una particolare rielaborazione ritmica di una parte delle teorie musicali di autori classici come Stravinsky (elementi visibili soprattutto negli approcci orchestrali che i pianisti subivano nelle aggregazioni).
Il Malì è invece il paese della continuazione ereditaria della musica secolare: intere generazioni che si tramandano i contenuti musicali delle loro terre: da Boubacar Traorè a Salif Keita, da Toumani Diabate allo scomparso Ali Farka Tourè (vedi mio post prec.), il Malì rappresenta certamente l’esempio più rappresentativo di quel tipico respiro ritmico “blues” che ne costituiva le sue origini (anzi c’è chi asserisce che le origini primordiali della musica africana siano proprio lì); arricchito di moderne e percussive chitarre, proprio Tourè avrebbe voluto che la sua esperienza nel mondo degli affari musicali finisse con la sua morte, ma il suo alter ego alla kora Toumani Diabatè, spinse i suoi figli a sfruttare la popolarità del padre per procurarsi comunque un lavoro: è il caso di Vieux Farka Tourè, che giunto al suo terzo lavoro, mostra come il suo percorso si stia allontanando da quello paterno (rigorosamente tradizionale) per abbracciare elementi della musica di consumo occidentale, un esperimento invero non nuovo se si pensa alle esperienze fatte in altre parti dell’Africa (Youssou N’Dour in Senegal per esempio) e nemmeno scandaloso se si pensa alla dovizia di particolari con cui viene portato a termine.
Discografia consigliata (limitata agli artisti citati):
(utile prima degli ascolti una disamina dei vari ritmi: son, danzon, mambo, etc.)
Chucho Valdes:
-Lucumi, Messidor, 1986
-SoloPiano, Blue Note 1991
Omara Portuondo
-Desafios, Intuition 1999 (con Valdes)
-Buena Vista Social Clubs presents O.Portuondo, Elektra, 2000
-Flor de amor, World Circuit, 2004
Buena Vista Social Club, Elektra 1997
Ali Farka Tourè: vedi mio post prec.
Vieux Farka Tourè
-Fondo, Six Degrees 2009