Talvolta una delle capacità migliori di un musicista è quella di sapersi circondare di musicisti giusti; quelle esperienze sono sicuramente produttive e qualche volta conducono anche ad ambiziose opere di valore. Il londinese David Sylvian è uno di quelli che ha saputo cogliere questa istanza e, nonostante tante critiche negative ricevute nell’arco della carriera per le presunte erogazioni di musica altrui, le sue vicissitudini hanno dimostrato che è sempre utile un più approfondito esame critico dell’operato di un artista. Partito come musicista glam nell’era dei Roxy Music, Bowie, Reed, etc, Sylvian aveva una naturale predisposizione per i suoni orientali, in particolare giapponesi. Il suo gruppo dei Japan, con gli album Gentlemen take polairods e Tin Drum, fu portavoce di un originale accostamento musicale che metteva assieme punk, aspetti glam, elettronica leggera tendente alla dance (ma ben congegnata), afflati new wave e accenti giapponesi: in questa prima parte della carriera Sylvian strinse una profonda alleanza con R. Sakamoto che interveniva sulle sonorità dando già evidenza di un primo plagio. Ma la verità era che Sylvian era in possesso di una “monotona” e “fastidiosa” vocalità che si inoltrava però alla perfezione in quel crogiuolo di elementi rock di varia natura.
Quando l’esperienza con i Japan era ormai giunta a maturazione, Sylvian cominciò ad avventurarsi nelle proprie proposte sonore, migliorando ancora le sonorità e la vocalità, avvalendosi stavolta della collaborazione fattiva di stelle artistiche rispondenti ai nomi di Jon Hassell, Kenny Wheeler, Holger Czukay, Mark Isham e Mark Thompson. Sylvian cominciò con Brillant Trees ad affrontare le moderne correnti dell’ambient e della world music di stampo elettronico, a cui offrì una sua visuale dark che non si trovava in giro; Sylvian si stava ritagliando un posto in quella nicchia delle produzioni rock fagocitate da una psicosi combinata voce-suoni e in quel periodo ebbi anche modo di constatarlo, partecipando ad un suo concerto completamente autogestito in un teatro appositamente sonorizzato per l’occasione. Sylvian è un musicista ambizioso, cerca il sound perfetto, colossale, da consegnare ai posteri e ad un certo punto crede fermamente che questo si possa trovare nella musica ambient, a cui si dedica con più interesse costruendo lunghe suites dronistiche assime a Czukay (sono Plight and Premonition e Flux+Mutability), valide alternative al suo rock avanguardistico ma di certo le non più esaltanti registrazioni del genere; tuttavia gli esperimenti sull’ambient music sono probabilmente utili per affrontare la peristalsi musicale con la musica rock e in Gone to earth, album che si porrebbe come naturale seguito di Brillant Trees, Sylvian da una parte incrementa la melodicità di fondo delle sue canzoni, equilibrando il contributo a chitarra e frippertronics di Robert Fripp, dall’altra proponendo un secondo disco (incluso nella confezione) interamente votato alla musica d’ameublement, tutto sbilanciato su sonorità di stampo orientale. Con Fripp c’è un bel sodalizio, che continuerà con due albums e un live, che però si risolve in un mero accostamento di tematiche, da una parte Sylvian e la sua vocalità neutra, dall’altra le basi ritmiche prog, jazz-rock o in alcuni casi persino psichedeliche di Fripp, il quale trascina Sylvian troppo nei suoi territori, snaturandone un pò la figura.
Poi nel 1987 arriverà il suo capolavoro melodico: Sylvian ha ormai acquisito abbastanza mestiere per tirar fuori un disco cantato, ma senza fronzoli, semplice, e questa semplicità alla fine costituisce il miglior modo per imporsi musicalmente. Nel momento in cui l’artista inglese mette da parte la sua ansia da prestazione e si rifugia nell’intimità si costruiscono senza dubbio i momenti più stimolanti della sua carriera: The secrets of the beehive è una confessione notturna in musica, un raffinato e stimolante approccio alla forma canzone, che grazie ai contributi impeccabili di Sakamoto, David Torn, Phil Palmer e Mark Isham diventerà una specie di pietra angolare di riferimento per tutti i cantautori folk intrisi di oscurità e desiderosi del melodioso melodramma di Sylvian suonato in chiave depressiva.
Dopo Secrets of the Beehive l’artista ha continuato con presunzione la sua ricerca verso il capolavoro tecnico, ponendosi di fronte ai suoi ascoltatori abituali in un modo differente dal passato: il cambiamento è di pensiero e si basa su una modifica dello stile, con il canto che aumenta la sua neutralità, diventando quasi totalmente senza linea melodica convergente, si basa su una musica che perde la forma del drone, che acquista in libertà acustica e estensioni e, soprattutto, che scandaglia tutti i settori ingegnosi e di nicchia della musica contemporanea. I risultati, in vero, sono belli e complessi, perché Sylvian tenta di approdare ad una formula intellettuale di musica da dare in adozione ai suoi fans ma che è totalmente fuori dai canoni della percezione immediata: Manafon è suonato assieme a Christian Fennesz, Keith Rowe, John Tilbury ed Evan Parker, e ha le occorrenze di un lavoro di improvvisazione libera a cui Sylvian ha aggiunto la sua voce e la poetica di R. S. Thomas; una propaggine di Manafon si ritrova in Died in the wool, lavoro che inquadra invece Sylvian nell’empasse cameratistico contemporaneo che prende forma con l’aiuto del compositore giapponese Dai Fujikura (con Jan Bang e Fennesz partecipanti); così come sono alquanto complesse ed interessanti le evoluzioni “concrete” di When loud weather buffeted Naoshima con Clive Bell, Fennesz e Arve Henriksen tra i musicisti, ulteriori conferme di un Sylvian lontanissimo da ciò che il musicista era un tempo, ossia un cantante pop.
Discografia consigliata:
con i Japan:
–Gentleman take polaroids, Virgin
–Tin Drum, Virgin
–Rain tree crow, Virgin 1991
Solista:
–Brillant trees, Virgin, 1984
–Gone to earth, Virgin 1986
–Secrets of the beehive, Virgin 1987
–Plight and premonition, Venture 1988
–Approching silence, Shakti, 2000
–When loud weather buffeted Naoshima, Samadhi Sound, 2007
–Manafon, Samadhi Sound, 2009
–Died in the Wool – Manafon Variations, Samadhi Sound, 2011