….”Dal mio punto di vista, la maggior parte dei musicisti di jazz italiani e non (in particolare quelli più in vista e che quindi dovrebbero essere di esempio) non fa jazz ma semplice pop music. O perlomeno usano procedure jazzistiche per improvvisare ornamenti su canzoncine et similia. Ma il risultato estetico (ed anche l’atteggiamento etico, perchè no?) è prossimo al pop. In realtà tutto ciò non fa altro che celebrarne il disamore e l’estinzione (del jazz). Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Capisco perfettamente che questa formula pop è remunerativa in termini economici, ma credo sia limitante dal punto di vista della propria ricerca estetica e dei contributi che si possono dare a quest’Arte. L’importante è che ogni fiume scorra nel proprio letto. Capisco che il postmodernismo ha contribuito a mischiare “l’alto” con il “basso”, ma ora più che mai credo che si debba prendere coscienza dei limiti di questa visione. Da parte di molti c’è stata una sorta di rimozione collettiva verso il jazz nella sua componente di ricerca, o comunque c’è un atteggiamento acritico verso la Storia. Se l’ultimo Coltrane (solo per fare un esempio) ha portato il linguaggio in una certa area 40 anni fa, forse è il caso di rifletterci e non rimuovere il tutto come se fosse stato il sogno di un pazzo visionario. Il valore sociale di un’artista risiede nel suo diritto ad essere esoterico….”
Il pianista, professore al Conservatorio di Monopoli, Gianni Lenoci si espresse con queste parole nell’ambito di una intervista che lo stesso rilasciò a Jazz from Italy qualche tempo fa. Incompreso nella sua terra d’origine, Lenoci percorre da sempre quel sentiero di incomprensione che vede nella presunta scarsa fruibilità di certe proposte la principale causa di repulsione; in Italia, ci si lamenta della mancanza di nuove proposte, e poi quando c’è qualcuno che cerca di guardare più lontano, lo si boccia irrimediabilmente (un pò come succede oggi nella politica).
Partito, a livello di influenze, dal pianismo post bop di Evans e da quello dei pianisti free americani, e da tutto quello che poteva rivestire il carattere di “serietà” anche nela musica più popolare (vedi i rifacimenti del soul di Wonder o Gaye), Lenoci pian piano ha virato sempre più nei territori impervi delle avanguardie sperimentali e soprattutto delle interazioni intergeneri rielaborate con la sensibilità di un compositore di formazione classica. Le fattive collaborazioni effettuate con tanti musicisti free europei ed americani ne confermano la statura: la sua è una sperimentazione in vari formati di espressione (trio, quartetti, orchestra) a geometria variabile, dove i musicisti che lo seguono condividono la stessa sensibilità artistica. L’esperienza di un concerto del pianista di Monopoli, che ho fatto in una chiesa sconsacrata di Bari (Vallisa è stato utilizzato dall’artista anche in altri concerti e registrazioni probabilmente per l’acustica che se ne ricava), ha confermato l’idea di trovarmi di fronte ad una delle personalità di spicco del jazz italiano e mondiale, totalmente non “riconosciuta”. Lo sperimentalismo di Lenoci cerca sempre un punto di incontro, anche “emotivo” , “sensitivo”, tra i rischi di una improvvisazione d’avanguardia in cerca di riscontri non prevedibili e il desiderio di trovare una formula musicale che abbracci la storia pianistica moderna. E’ qui che sta la sua grandezza: personalmente, sono irritato di fronte alla considerazione che artisti come Lenoci siano in qualche modo oggetto di culto solo per una ristretta cerchia di cultori ed amatori del jazz, poichè ritengo che personaggi del genere dovrebbero calcare le principali copertine delle riviste di jazz o essere gli assi portanti delle programmazioni dei festivals musicali: qui siamo di fronte ad una serietà di intenti che va oltre i fattori musicali; la vicinanza a stilemi di improvvisazione/composizione di stampo classico è una costante di rilievo per arrivare ad un certo tipo di espressione.
La sua vasta discografia si compone di moltissime registrazioni (All About Jazz ne ha stilata una, un paio d’anni fa e di cui vi riporto link http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=4555) nelle quali si avverte la graduale maturazione da uno stile più vicino al jazz di formazione boppistica e free, ad una intrigante immersione nella sperimentazione e nel collegamento di essa a possibili interazioni e spunti con il free jazz; anche l’uso delle tecniche estese è proiettato verso lidi che non perdono mai il collegamento con la realtà musicale già abbondantemente sperimentata e danno l’idea di come Cage e Feldman abbiano costituito una reale influenza nelle prerogative musicali di Lenoci. …”il mio principale problema artistico da anni consiste nel tentare di generare una musica che non sia “contaminata” (termine che implica un che di malato),.. bensì informata ed intelligente…. “, un tentativo di costituire una originale voce che parta dalle scoperte musicali recenti per offrire all’umanità un progresso sostenibile nel tempo.
Discografia consigliata:
-Existance: Gianni Lenoci Trio, Splach R.1995
-Sur une balancoire, with J. Leandre, Ambience Magnetiques, 2003
-Agenda. Plays Lacy on Piano, Vel Net 2005
-Ephemeral rhizome, solo piano, Evil Rabbit 2009
-Hocus Pocus 3, Bucket of blood, Silta R. 2010