Gli sviluppi recenti sul violino e sulla sua espressività di suono, dimostrano che i compositori e i musicisti odierni stanno tentando di andare oltre il mero aspetto sonoro per cercare di fornire un prodotto mentalmente “sensorio” che soddisfi oltre al senso dell’udito anche quello della vista. Negli ultimi cinquanta anni ne è passata di acqua sotto i ponti e molte sono le distinzioni da fare; in generale le esplorazioni subliminali del violino sono passate da questi accoppiamenti:
a) violino + live electronics, è stato l’abbinamento di tanti compositori di musica classica che hanno sposato le rivoluzioni elettroacustiche di Stockhausen in una gamma ampia di idee che hanno coinvolto composizioni specificatamente rivolte a questo tipo di interazione (si pensi a Risset, Nancarrow, Essl, senza dimenticare il Boulez degli “Anthemes II”);
b) electronic violins, la cui nascita risale al periodo iniziale della fusion tra il jazz e il rock, epoca in cui grazie alle innovazioni del pick-up fu possibile amplificare i violini: Jean Luc Ponty fu uno dei precursori, ma in verità tutta la musica si è servita di questa modalità per cercare di dare nuove anime allo strumento: nella musica classica, i minimalisti hanno utilizzato forse in misura maggiore questa possibilità (tra i tanti esempi si pensi al “The dharma at Big Sur” di John Adams) ma è indubbio che oggi molti violinisti di varia estrazione se ne cibano (tra tutti penso a Mat Maneri);
c) violino + elettronica “dance”, di questo abbinamento ve ne ho accenato nei miei precedenti posts, mi riferisco agli esperimenti di Daniel Bernard Roumain (che suona in molte registrazioni del più costruito DJ Spooky), che si basano sul matrimonio tra violino e elettronica da ballo moderna, intendendo con questa quella che accoglie suoni ambientali di vario genere;
d) violino + tecniche estese, i cui esperimenti diventano sempre più magniloquenti e frequenti anche nel jazz, ed impegnano, per ciò che concerne l’aspetto “colto” della musica, in maniera efficace i moderni violinisti specie in quartetto. (si va da Mark Feldman al Kronos Quartet)
Uno dei più interessanti quartetti venuto alla ribalta negli ultimi dodici anni è quello degli Ethel, composto da musicisti rinnovatisi nei suoi elementi più di una volta, nei quali sono transitati parecchi giovani violinisti di rango che hanno avviato anche carriere personali (Dorothy Lawson, Cornelius Dufallo, Todd Reynolds, Jennifer Choi, etc.) : questo quartetto ha partecipato a varie registrazioni con artisti operanti nel campo di quella classica “visiva” di cui si parlava all’inizio; Joe Jackson, artista multistilista del rock, li ha voluti nel suo tour ed ha inciso con loro il secondo volume del “Night and day”, Muhal Richard Abrams li ha scelti per le sue recenti sperimentazioni avanguardistiche, Lukas Ligeti ha inciso il suo “Mystery system” dove il loro apporto è determinante per la riuscita del concetto della raccolta, ottime registrazioni sono state fatte con il minimalista Neil Rolnick in “Shadow quartet” così come importante è il lavoro fatto con Phil Kline (altro compositore multimediale) nel “moderno” sacro di “John the Revelator”: l’elemento caratterizzante risiede soprattutto nella capacità di “visualizzare” un tema sonoro. In questo senso l’esperimento più riuscito è quello fatto con la compositrice americana (minimalista) Mary Ellen Childs in “Dream House”, in cui grazie alle conoscenze delle arti visuali dell’americana, si costruisce un quartetto d’archi che come qualcuno ha descritto somiglia ad “...un bicchiere di cristallo tagliato che rifrange il mondo intorno ad esso ….”: è una tessitura violinistica che proviene da una rilettura cinematografica della sua musica, una specie di regista dei suoni in tempo reale. Per avere una migliore comprensione delle sue capacità sarebbe opportuno ascoltare/vedere le sue composizioni elargite nel gruppo teatrale dei Crash, oppure guardare il video allegato a “Dream House” che segue la demolizione di una casa (che può essere anche reperito su You-tube a questo indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=pXtNwwU5i2M&feature=related).
Sta di fatto che la multimedialità della Childs è certamente tra le più apprezzabili nel panorama odierno e costituisce fonte di ispirazione di molti compositori al confine (vedi gli esperimenti simili di molta cosiddetta “modern classical”, tra cui Max Richter).