Ho già ribadito in precedenti post l’importanza del pianista norvegese Bugge Wesseltoft, pioniere di quel particolare incrocio tra jazz ed elettronica: Wesseltoft dopo aver maturato un pieno ECM/Act sound partecipando ad alcune registrazioni di Garbarek e firmando una prestigiosa collaborazione con la cantante Sidsel Endresen, ha diviso la sua carriera praticamente in due parti: in una (in verità molto contenuta, solo tre dischi) ha profuso il suo pianismo maturato negli ambienti nordico/tedeschi, nell’altra ha praticamente costruito il giocattolo del nu-jazz, cioè il jazz mischiato con l’elettronica: in questo secondo caso, l’artista ha saputo intelligentemente evitare i soliti clichè che erano dietro l’angolo; gli abbinamenti tra jazz ed elettronica dance avrebbero potuto costituire una naturale evoluzione dell’acid jazz che tanto fa storcere il naso ai puristi (specie quelli del jazz ante C.Parker), ma Wesseltoft ne ha saputo dare una versione “seria” che pur prestandosi alla danzabilità (e non vedo come potrebbe essere diversamente se i generi considerati sono l’house, la techno e la computer music) era in possesso di una serie di combinazioni musicali vincenti, studiate ad hoc, per risaltare quel principio secondo il quale il jazz del futuro deve comunque conservare quei caratteri di “emotività” storici e perciò deve esaltare gli sforzi del pianista: i binomi tra pezzi di jazz del passato appositamente ritagliati (una tromba davisiana da contesto elettrico, un piano obliquo che rimanda a Jarrett, etc.) e effetti di elettronica basati anche sul ritmo e sulla potenza dei toni bassi, non devono costituire uno scandalo. Gli albums di “nu-jazz” di Wesseltoft sono stati un crescendo in ordine temporale, in cui è migliorato sempre più la conoscenza dei punti di incrocio tra le due componenti musicali: in tal senso il norvegese ne ha fornito una versione diversa, più diretta, differenziandosi da altri suoi colleghi illustri come N. Petter Molvaer, Arve Henriksen, etc. Inoltre, il suo percorso sembra essere così intrinsecamente “futuristico” che si fa fatica a pensare che lo stesso è il fondatore della Jazzland Records, etichetta specializzata in una tendenza del jazz più consolidata e che si avvicina al convenzionale pianismo della sua carriera solistica parallela.
La collaborazione con Henrik Schwarz in “Duo“, produttore esperto nel tirar fuori dall’elettronica dance quell’anima che spesso è invisibile in quelle produzioni, dimostra come è possibile coniugare sentimenti ed esperimenti senza che questi diano minimamente fastidio a coloro che pensano che questi connubi siano inefficaci: si potrà oggettivamente obiettare che il jazz così condito sembra essere spoglio di qualsiasi rigore intellettuale e soprattutto mancante di quegli assoli strumentali che hanno preso possesso delle menti degli appassionati, ma non si può certo affermare che idee anche così semplici non possano avere una loro valenza al passo con i tempi odierni, che forse rifiutano la “complessità”.
Discografia consigliata:
-New Conception of Jazz, Jazzland 1997
-Sharing, Jazzland 1998
-Moving, Jazzland 2001
-Film Ing, Jazzland 2o04