L’emancipazione politica della Cina ha liberato il suo potenziale anche nella musica: di fronte ad una pletora di musicisti dalle capacità tecniche incredibili si può anche dubitare della bontà di un movimento, ma quando si creano le premesse per ascoltare qualcosa che arriva anche dalla creazione dell’intelletto i dubbi vanno dissipati. Il veloce risveglio della Cina è qualcosa che ha indubbiamente caratteri propri: le nuove generazioni di compositori (Tan Dun, Chen Yie, Sheng, etc.) hanno colmato il gap culturale con l’Occidente inserendo nuovi elementi di raccordo, ma ve ne uno che sta cercando di fare molto di più: creare musica contemporanea senza barriere, tenendo conto che gli elementi culturali intrinseci di un paese sono solo un ingrediente della formula; Lei Liang (n. 1972) rappresenta questa nuova dimensione della musica colta: non vi sto qui a ricordare le lodi che il compositore cinese ha avuto da mezzo mondo classico, quello che mi preme segnalare è che con Liang non vi trovate certo di fronte ad un prodotto di mediazione stilistica fra Oriente e Occidente; Liang è un contemporaneo, che fa delle teorie di Cage e della scuola dei Newyorchesi il suo primo livello di lavoro, passando in un piena libertà attraverso i tanti elementi che la compongono: mi sembra molto azzeccata la definizione del critico Xia Yan-Zhou per Musical Life che afferma che ….”l’artista cinese rifiuta le imitazioni del suono classico cinese…invece ci sono pianti spettrali e prolungati silenzi..I molti clichès della musica moderna sono purgati in maniera pressochè totale…(tradotto). Ci troviamo di fronte ad un affascinante rimescolatore di suoni studiati intelligentemente per trovare una loro emotiva combinazione, (Liang usa l’alea e un pò di serialità, fa uso piuttosto sostanzioso di tecniche estese degli strumenti nonchè di “spettri” sonori), nella quale confluisce si, il suo background culturale (lo si scopre nell’ascolto che contiene riferimenti alla musica orientale con inserzioni alla cultura giapponese, cinese e mongola ed è palese quando il compositore utilizza nella composizione vocalità tradizionali) ma con una tale discrezione che alla fine si apprezza più per il suo ampio ventaglio di soluzioni; nello “spazio” di libertà aperto naturalmente dalla composizione contemporanea, Liang riesce a viaggiare magnificamente donando agli strumenti un linguaggio proprio che si afferma non solo per le sue prerogative di alta intensità tecnica, ma per il loro coinvolgente senso del misterioso e del transcendentale che non passa forzatamente per la teoria moderna degli occidentali: una sorta di spiritualità new age che però ha una forza di definizione ed una serietà tutta moderna.
Sono solo tre le registrazioni ufficiali di Liang in aggiunta a tutta una serie di brani da lui composti ma suonati sporadicamente in cd di altri musicisti (al riguardo per un’eventuale approfondimento vi segnalo questo indirizzo www.lei-liang.com/discs/discs.html) lavori in cui si percepisce l’alto livello compositivo dell’artista. “Milou” per la New World Record mette in evidenza una scrittura d’elitè non solo per piano, flauti e sassofoni, ma anche per strumenti come l’arpa o l’harpsichord in cui il musicista cinese cerca di esplorare con tecniche estese o spettrali le possibilità degli strumenti, confermando come la sua musica sia allo stesso tempo astratta e sensitiva, fatta di mille traiettorie condensate in suoni accattivanti e ultramoderni.
Discografia consigliata:
-March Cathedral, Encounter R. 2000
-Brush-Stroke, Mode 2009