
“Khmer era esattamente tutto questo: nessun formidabile assolo, nè tanto meno jazz da ascoltare in modo convenzionale; Molvaer riprendeva il sound siderale della tromba di Miles Davis o quello da quarto mondo di Hassell e li utilizzava come ingredienti da affiancare a beats possenti, elettronica al limite della dance, sequenze di ambient music e tracce del Peter Gabriel di “Last Temptation of Christ”. La bravura di Molvaer sta nel saper risaltare “stordimenti” musicali pieni di influenze, come in un violento flashback di ricordi. In alcuni momenti ci si chiede se questo sia ancora jazz, se ne abbia ancora le caratteristiche (Molvaer rifiuta definizioni inerenti), si potrebbe obiettare che qui si privilegia l’aspetto compositivo e non quello strumentale; il jazz è inteso da Molvaer come spirito improvvisativo e veicolo per una forma architettonica moderna di suono. Se il discorso lo prendiamo dal punto di vista della composizione, comunque Molvaer si caratterizza per un suo suono comune e diverso dagli altri trombettisti che hanno seguito percorsi paralleli (Arve Henriksen, Ben Neill, etc.): comune perchè nordico nella sua essenza, diverso perchè immediatamente distinguibile. Il suo è il tentativo di affermare la “timbricità” dei suoni, così come avvenuto dapprima nella musica classica moderna, poi nel jazz elettrico Davisiano, ed infine con tutto il movimento dell’ambient e delle sue sfaccettature (comprese le implicazioni dance), con una prerogativa in più, ossia quella di cercare di mantenere lo sfondo melodico su un piano privilegiato. In questo si distingue dai trombettisti che fondano il proprio lavoro su una elettronica vicina ad un jazz più convenzionale o quelli che al contrario calcano la mano sul potere dell’atonalità, delle dissonanze e del rumore. Molti appassionati obietteranno che sono esistiti ed esistono trombettisti di valore che suonando ad alti livelli tecnici e con un substrato di elettronica diverso, riescono a produrre risultati emotivi ed “ambientali” identici (si pensi al trade d’union che va dai gruppi di Sun Ra a quelli odierni di Rob Mazurek): penso che il problema non si ponga poichè si tratta di esaminare oggetti di diversa natura: potreste snaturare l’ambient music, così come rigorosamente intesa da Eno, con una tromba che snocciola assoli free anche dissonanti? Caderemmo in un problema opposto.“Baboon moon” acclara definitivamente la transizione iniziata con “Hamada” di un spostamento del trombettista verso un minore uso del “beats” sound a vantaggio di un uso più robusto delle chitarre: Stian Westerhus (che sostituisce uno dei suoi più fedeli collaboratori, Aivind Arset) conferisce, nell’ambito della ormai nota costruzione sonora tra strumenti e tecnologia, aspetti “psichedelici” memori di un feeling chitarristico tra Hendrix e Torn.