Nel panorama della musica rock sono realmente circoscritti la quantità di musicisti che possono considerarsi anche “poeti”, cioè che hanno inventato un proprio linguaggio letterario con una trasposizione di esso in musica. Esiste anche una seconda categoria di artisti che pur avendo un linguaggio meno difficoltoso sono stati spesso considerati pseudo-poeti per via di altri fattori: Tom Waits occupa un posto mediano tra queste due primarie classificazioni: se da un lato spesso Tom usa un vocabolario adeguato ad un grado medio intellettuale, è pur vero che il suo “degradante” e “visionario” linguaggio si avvicina a qualcosa che più di una forma di espressione normale. Per lui sono stati spesi molti appellativi: Kerouac e Ginsberg nella prima parte della carriera, quando il jazz e il romanticismo musicale avevano il soppravvento, Bukowsky nella seconda, quando invece il musicista di Los Angeles virò verso un espressionismo musicale con contenuto vario. Ho letto molte biografie e profili su Tom e devo dire che non sempre mi sono trovato d’accordo su alcuni aspetti, ma concordo pienamente nelle idee di coloro che lo vedono come il paladino della “wrong side of the road”: penso che nel rock, non ci sia stato nessuno come Waits così in grado di testimoniare con la sua musica (e la sua voce) gli episodi della gente “sfortunata” o che si trova ad affrontare quelle battaglie “dure” che la vita inspiegabilmente offre ad alcuni di noi; e questo lo ha fatto seguendo il proprio istinto umano che era molto vicino a quelle impervie situazioni.
Come tutti sapranno la carriera di Tom Waits si divide in due tronconi: dagli esordi del 1973 fino a “Swordfishtrombones” del 1983, album che fa da spartiacque al secondo periodo. I suoi fans si dividono anche in base a questa distinzione, sebbene in concreto l’artista americano abbia mantenuto comunque elementi comuni a tutte e due le fasi. Romantico, immerso nel jazz e nello swing, con una voce da brividi con caratteristiche uniche (che ha subito modificazioni con il passare degli anni passando da una grave inflessione fino a diventare una specie di Captain Beefheart in catrame), Waits si infila nella corrente dei migliori cantautori di Los Angeles, ma il suo status distintivo è la capacità di saperci raccontare (attraverso la musica) la vita notturna e sbandata dell’America non perbenista con un livello musicale subito di alto profilo: i suoi dischi e concerti sono dei particolari stati emotivi: Waits usa il jazz, il blues e le modalità di canto dei jazzsingers degli anni quaranta e cinquanta plasmandole secondo il suo uso: in questo primo periodo musicale non penso che abbia fatto mai un album che possa considerarsi mediocre o sufficiente.”The heart of saturday night” e “Blue Valentine” sono i suoi capolavori di questa fase che profuma di amori spezzati, notti brave e solitudine incontrollata.
Con “Swordfishtrombones” Waits compie il suo definitivo cambiamento; come se avesse capito che il romanticismo non poteva più attechire di fronte all’arrivo di una incombente fase decadente dell’ambiente “buono” del mondo, Tom comincia ad inserire nella sua musica un carattere testuale a mò di “visionario”, come qualcuno che “diligentemente” parla in preda agli effetti dell’alcool, spostando parzialmente l’asse musicale dall’America all’Europa mitteleuropea. Sebbene io ritenga che “Swordfishtrombones” sia ancora un magnifico album di transizione, è qui che Waits introduce elementi della cultura di Kurt Weill, i valzer e le marcette spettrali, la dissonanza e l’utilizzo timbrico/sperimentale di contorno di molti strumenti, tra cui anche le sghembe note di chitarra alla Ribot. Anche i suoi caratteri “americani” ne vengono contagiati, poichè l’artista sembra essere interessato in modo estensivo al blues, ma non più ad un blues canonico ma aggiornati ai tempi, un blues universale pan-etnico che tiene dentro americanismi e ritmi sudamericani (cuban sounds, rhumba, tango, etc.), così come le sue ballate ex jazz-oriented acquistano un carattere nuovo, molto più “sconfortante”, ma veicolo perfetto della sua straordinaria modulazione vocale. Come scrive S. Coacci nella sua recensione di “Bone Machine” “……L’uomo di Waits è disadattato, randagio, reietto eppure ebbro d’allegria immotivata e irresistibilmente attratto dalla vita nella sua accezione più sozza, biologica, primitiva e malfamata. E la sua voce (e il suo canto), in questo senso, non si rassegna a rimanere prigioniera nell’ottica di un io-narrante, di un supervisore onnisciente, ma cangiante, mercuriale…..”
Ormai Waits è pronto per essere accolto nella cultura moderna della rappresentazione e in tal senso si indirizza la sua carriera, grazie anche all’apporto della moglie K. Brennan, la quale lo addentra negli spazi naturali del teatro musicale di avanguardia: “Black Rider“, “Blood Money” e soprattutto “Alice” saranno raccolte che oltre ad avere un forte appeal musicale, saranno eseguite in molti teatri mondiali.
L’ultimo Waits si pone in un’ottica addensata dai fumi ma ancora più sperimentale, con un linguaggio criptico, un blues culturalmente omnicoprensivo di elementi di generi diversi (anche dei linguaggi dance moderni come hip-hop e il turntable) per rendere universali le “brutte” storie degli uomini, e con un forte approfondimento verso evoluzioni sconfinate della vocalità di Beefheart; se questo era il fondamento di “Real Gone“, album ancora oggi oggetto di controversia sulla presunta carenza di innovazione, Waits in “Bad as me” recupera soprattutto l’uso della melodia dissonante e della ballad pietrificata, riavvicinandosi alla musicalità di “Rain dogs“.
Discografia consigliata: (indispensabile)
-The heart of saturday night, Asylum 1974
-Nighthawks at the diner, Asylum 1975
-Small change, Asylum 1976
-Foreign affairs, Asylum 1977
-Blue valentine, Asulym 1978
-Swordfishtrombones, Island 1983
-Rain dogs, Island 1985
-Frank’s wild years, Island 1987
-Bone Machine, Island 1992
-Alice, Island 2002