Due casi di etno-elettronica

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Il mondo della world music di generazione elettronica ha prodotto una grande varietà di risultati dopo l’idea portata avanti da Hassell e Eno: molti hanno sfruttato la nuova proposta apportando spesso banalizzazioni dell’idea originale (penso a tutto l’universo ambient/new age di stampo asiatico, mediorientale o sudamericano), mentre altri hanno cercato nuovi orizzonti attraverso incroci con altre sonorità o addirittura altri generi. Nell’ultimo ventennio le principali evoluzioni in materia sono transitate dai lavori impegnati di Robert Rich e dal suo giro di proseliti, e dai musicisti dediti ad una più forte compenetrazione negli aspetti ritmico/esoterici e nella loro confluenza con le derivazioni ambientali più melodiche ed assimilabili al pop, sul percorso tracciato da Eno nei suoi albums “cantati”: è il caso di Richard Bone, veterano della scena elettronica di New York dagli anni ottanta e del produttore e remixer di generi collegati all’elettronica, Bob Holroyd. Entrambi hanno seguito percorsi di derivazione world e fondato un proprio studio di registrazione, sebbene quel tipo di proposta musicale, centrata sull’aspetto etnico, sia stata condivisa con le inderogabili esperienze dell’ambient music. Ma il fondamentale aspetto da rimarcare è che il loro lavoro è stato rispettoso delle tendenze musicali etniche prese in considerazione, senza quella sorta di “globalizzazione del suono” che per molta critica potrebbe essere l’anticamera dell’affossamento delle culturali popolari. Si potrà obiettare sulla valenza musicale delle proposte ma non certamente sulla mercificazione dei temi trattati.

Richard Bone, dopo aver cominciato la carriera come musicista elettronico molto devoto all’Eno citato prima, diede con “Eternal Now” un primo saggio di spostamento verso le tematiche più oscure e ricercate della musica ambient: molti altri lavori saranno impostati su quello standard che viene ritenuto da molta critica come il lato migliore dell’artista; tuttavia il presunto lato peggiore dell’artista è allo stesso tempo il suo tratto caratteristico, cioè quello che vede unire elettronica, world music ed ambient in modo da privilegiare tratti naturali delle melodie etniche e delle linee pop, periodo pressapoco incominciato con “Electropica”: semplici strati di elettronica “tradizionale” ma ben costruiti e personalizzati; se oggi dovessi riascoltare un suo disco, sicuramente non lo riconoscerei per il filone “Eternal Now”. La sua pur valida ambient music non è rinnegabile, anzi, ma Bone l’ha intervallata spesso con ottimi risultati come successe ad esempio in “Vesperia” o “Tales from the Incantina” (in verità già al confine), che si riallacciavano alle tematiche di “Eternal now”. Tuttavia, ritengo che Bone abbia ottenuto il suo marchio distintivo in operazioni sub-etniche come “Infinite Plastic Creation” o “Saiyuji” e pur non avendo chiaramente una carriera discografica nel complesso omogenea, penso che in quelle operazioni abbia creato una sorta di “originale” divertissement elettronico, che allarga le conoscenze anche alla new wave-mania di alcune frange più vicine all’impianto stilistico di Bone (penso ad esempio a gruppi come Flash and Pan che distillavano anche pacchetti preconfezionati di jazz). Le ultime pubblicazioni in chiave ambientale comunque mostrano un artista condiviso tra Budd e Eno, tra un motivo melodico ripetuto e un drone in evanescenza, che nel caso di “The ghosts of Hanton village” assume anche contenuti musicali/descrittivi più chiari e importanti. E questa semplice opera di affermazione di un modello semplice ed efficace (ma già battuto) pervade anche gli episodi dei suoi ultimi cds tra i quali “Xessex-the palindrome project” pubblicato qualche mese fa.

Bob Holroyd si impose nella world etno-elettronica già con il suo esordio del 1993 “Fluidity & Structure”, con un sound molto vicino allo stile del Peter Gabriel più sbilanciato in quel senso: ispirato dai paesaggi asiatici o africani, Holroyd usa piano e chitarre in modo classico per accompagnare percussioni e voci di terre lontane: per molti è il tipico musicista al confine tra quello che si può considerare “serietà” e “noia” musicale. Tuttavia le sue immagini sono fresche, moderne e verranno gradatamente arricchite nel tempo dall’esperienza che farà nel mondo della cinematografia: i suoi due ultimi lavori del 2011 “Beachcombing” e “Afterglow” si compongono di una scintillante produzione che comincia a dirigersi verso una forma polivante di suono, in cui prevalgono a seconda dei casi istanze drum-beat o “neoclassiciste” (tendenze moderne), a denutrimento della forma etnica.
Discografia consigliata:
Richard Bone:
parte etnica
1998 – Electropica, Quirkworks Laboratory
1999 – Coxa, Quirkworks Laboratory
2001 – Tales From The Incantina , Indium
2005 – Saiyuji , Quirkworks Laboratory
2007 – Infinite Plastic Creation , Quirkworks Laboratory
parte ambient
1996 – The Eternal Now , Quirkworks Laboratory
2006 – Vesperia , Quirkworks Laboratory
2008 – Sudden departure – Quirkworks Laboratory
 
Bob Holroyd
parte etnica
1993 – Fluidity and structure, B. Holroyd
parte ambient/new age
2011 – Beachcombing/Afterglow
 
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.