Un riuscito connubio franco-canadese: Francois Houle e Benoit Delbecq

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Gli ultimi vent’anni sono stati molto prolifici per la composizione in Canada: senza essere smentiti si può benissimo affermare che una nuova scuola di jazzisti e compositori sia nata tra Vancouver, Montreal e Toronto basata sulle nuove tendenze del multistilismo e addentrata nei rapporti tra classicità anche moderna e free jazz tendente alla sperimentazione; nel 1998 nacque un’etichetta discografica a supporto del movimento, la Spool Records che si divise in quattro tronconi nel 2008 per dar vita a quattro etichette indipendenti specializzate in percorsi incrociati tra jazz, classica, elettronica e sperimentazione. Il pianista Paul Plimley fu sicuramente uno dei precursori di questo movimento canadese, che sfruttava tutti i rapporti già consolidati di sessionman con i principali jazzisti americani di free jazz di quegli anni, ma è indubbio che il filone comprendeva una vitalità artistica pluristrumentale in cui emersero artisti da considerare non solo affiliati del genere, ma veri e propri virtuosi dei loro strumenti: Francois Houle e Lori Freedman ai clarinetti, Peggy Lee e Eyvand Kang al violino, Toni Wilson alla chitarra, Dylan van der Schyff alla batteria, Marylin Lerner al piano, i compositori Allison Cameron, Sarah Pebbles e John Oswald incidevano per la Spool o quando questo non succedeva avevano il conforto di altre etichette del posto che invitavano alla registrazione (Songlines Records, Red Toucan, Between the Lines) in modo da caratterizzare un prodotto alla base del quale vi era la alta competenza professionale dei partecipanti e la voglia di approfondire temi musicali al di là della dimensione jazzistica. Per questo compito importante diventò basilare la partecipazione di alcuni grossi musicisti francesi ed inglesi: se per i secondi l’ammirazione era soprattutto accademica (si pensi a Evan Parker o a John Butcher), con i primi esisteva un vero e proprio filtro di compensazione musicale che tendeva ad accomunare esperienze simili in terre solo “teoricamente” diverse (è ovvia la comune componente linguistico/culturale): musicisti come Joelle Leandre, Francois Carrier o Benoit Delbecq costituiscono una sorta di ponte naturale tra i due paesi, oltre a quello ovviamente battuto e dovuto alla vicinanza degli Usa, in particolare del luogo più vicino e più ben rappresentato musicalmente rispetto al Canada, cioè Chicago (Myra Melford, Joe McPhee, etc.). Il ragionamento è ampio e meriterebbe un approfondimento su tutti gli artisti citati, tuttavia per ora il mio interesse è di segnalarvi le ultimissime registrazioni di Delbecq e Houle.
Francois Houle è senza mezzi termini il factotum del rinnovamento musicale moderno in Canada: clarinettista dalle capacità immense (è stato anche simbolicamente raffigurato con due clarinetti in bocca suonati contemporaneamente come in quelle foto “bizzarre” ma reali di personaggi come Roland Kirk), sfoggia un solismo che virtualmente attinge a tutte le fonti nobili della musica: ha un risvolto melodico come i clarinettisti del novecento, la propensione alla dimensione sonica dello strumento (figlia anche di uno “psichedelismo” sonico alla Scelsi), la ricerca sviscerata di suoni ignoti grazie all’uso della respirazione circolare e dei colpi di lingua inseriti in relazioni di tecniche estese allo strumento, l’eclettismo stilistico che tende spesso a ricomprendere le avanguardie classiche inserite nell’elettronica abbinata all’acustica o nel linguaggio in “talking” che scorre dalla Anderson a Robert Ashley. “Hacienda” il suo esordio nel ’92 con un sestetto tutto canadese, gli Etcetera comprendente Wilson e Van Schyff, diventerà il suo lavoro più amato da jazzisti di filiazione tradizionale, poichè lo rivela sorprendente nella fantasia compositiva ma in un contesto ancora legato all’hard bop e al free. Ma l’eclettismo sonoro di Houle già verserà in una maggiore compenetrazione verso i generi più sperimentali in “Schizosphere” e nelle collaborazioni con la Leandre, Marylin Crispell e Eyvand Kang. Anzi, rivestirà una parte fondamentale nel disco di Guillermo Gregorio, “Faktura”, nei due dell’israeliano Yitzhak Yedid (“Mith of the caves” e “Reflections upon six images”), in alcuni album di colleghi canadesi, nonchè nei lavori effettuati con il francese Benoit Delbecq. In tutti questi dischi emerge il suo modo di guardare il jazz visto dalla prospettiva di un musicista preparato al classico, sebbene le prove del decennio sono comunque variegate ed includono anche avvicinamenti validissimi alle tematiche dell’elettronica acustica (“Au Coeur du litige”). La Atma Classique pubblicò qualche tempo fa una raccolta composta da un suo concerto per clarinetto e da composizioni di altri compositori canadesi sempre interpretati da Houle, che rappresenta la sua dimensione naturale ma non estrema che ha avuto modo di essere rivelata dai lavori in piena solitudine, nonchè in quelli “stranamente” accessibili, effettuati con il pianista francese Benoit Delbecq, con il quale le collaborazioni sono andate anche oltre il dialogo a due, coinvolgendo anche un quintetto (Pursuit). Delbecq da parte sua è uno dei jazzisti oltranzisti francesi più importanti degli ultimi anni: con una discografia già piuttosta nutrita che si compone, oltre alle collaborazioni con Houle, di una serie di progetti legati alla multidisciplinarietà (danza, teatro, poesia, cinema, arti plastiche) tendenti ad un originale approccio “poliritmico” che si estrinseca spesso con l’uso di basi (al piano) “preparate” alla maniera di Cage. “Because she hoped” replica l’enigmatico episodio di “Nancali”, aggiungedovi anche una sua versione live. La bravura dei due musicisti è quella di riuscire a condensare nei suoni mistero, sospensione, tecnica secondo i propri stili: è come mettere assieme l’eleganza di clarinettisti come Carter o Giuffre e l’afflato sonico di Parker da una parte, e le obbliquità di un piano che suona dentro uno spazio tra Debussy, Cage e Monk dall’altra. In “Cliches” Delbecq espone la sua teoria poliritmica anche attraverso una particolare modalità ritmico-timbrica, di sapore indirettamente etnico/tribale con sprazzi free pianistici.
Discografia consigliata:
Francois Houle:
-Hacienda, Songlines 1992 (with Etcetera)
-Schizophere, Red Toucan 1994
-Live at Banlieues Bleues, Red Toucan 1996 (with J.Leandre)
-Au coeur du litige, Spool Field 2000
-Criptology, Between the lines 2000
-Aerials, Drip Audio 2006
Benoit Delbecq:
-Delbecq Quartet Paintings, 1993, (con G. Orti, Joseph Carver, S. Argüelles)
-Ambitronix We Da Man, 1999 (con Steve Argüelles)
-PianoBook, Plush, 2001 (con Steve Argüelles)
-Piano solo, Nu Turn, 2003
-Delbecq Unit / Phonetics, Songlines 2005 (con Mark Turner, Oene Van Geel, Mark Helias, Emile Biayenda)
-Poolplayers, Way Beneath the Surface, 2008 (con Arve Henriksen, Lars Juul, Steve Argüelles)
-Where is Pannonica, Songlines 2009 (con Andy Milne)
-The sixth jump, Delbecq Trio, Songlines 2010 (con JJ Avenel et Emile Biayenda)
Houle/Delbecq:
-Nancali, Songlines 1997
-Delbecq 5 – Pursuit, Songlines, 2000 (con Michael Moore, JJ Avenel, Steve Argüelles)
-Dice Thrown, Songlines, 2002
-La lumiere de Pierre, Psi 2007 (con Evan Parker)
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.