Pop, violini e deviazioni beatlesiane: Andrew Bird

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Dani Cantó andrew bird, https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/, no change was made
Nonostante il pop abbia costruito negli ultimi quindici anni corsi sempre più intricati, ancora oggi si deve parlare del passato per cercare di sistemare le idee su quello che si può costruire per il futuro: gli anni sessanta sono stati un passaggio fondamentale per questo genere che ha visto le sue più compiute manifestazioni nell’epopea beatlesiana. In quegli anni quello che stava a cuore di molti artisti era di dare una piena identità culturale al pop, riconoscendogli uno status di arte; non era compito facile specie di fronte a masse popolari affamate di musica, ma erano tempi in cui nei musicisti sulla cresta dell’onda per via delle vendite, persisteva ancora un’anima profondamente vissuta in funzione della musica stessa e non solo del mercato. Uno dei modi per riuscire nello scopo di consegnarli una forma artistica fu quello dell’arrangiare il brano; i Beatles cominciarono a farlo con “Eleanor’s Rigby” inserendo un ottetto di archi, ma è indubbio che il violino entrò a far parte di un nuovo consapevole abbellimento della pop songs per molti gruppi: ne furono grandi esempi il “Forever Changes” dei Love e il famoso violino tzigano di Baba O’Riley nel “Who’s Next” degli Who. In verità, come già detto in altre occasioni, il pop nei sessanta stava vivendo due evoluzioni stilistiche, l’una che riguardava la caratterizzazione del prodotto musicale e l’altra che aveva a che fare con gli arrangiamenti orchestrali in cui imprescindibile era l’uso degli archi. Per quanto riguarda il primo aspetto si formarono le diverse correnti di pop cosiddette alla Beatles, alla Kinks o alla Who in Inghilterra con l’equivalente californiano dei Beach Boys. Per quanto riguarda il secondo, personaggi come Van Dyke Parks, Burt Bucharach o Phil Spector silenziosamente diventarono i factotum della scrittura, gli “organizzatori” modello delle composizioni. Il “Song Cycle” di Parks era un pozzo ante-litteram di conoscenze a cui anche Wilson attingeva: quell’album seminale (che oggi viene considerato un punto essenziale di riferimento di artisti come O’Rourke o la Newson) rappresentava un personale esempio di rielaborazione di elementi musicali che aveva agganci anche con la cultura folk. Prima si menzionavano i Love, e a tal proposito, come non si può riconoscere l’influenza di Bucharach in molte composizioni dell’album; Bucharach non fu mai capito abbastanza (e non lo è ancora oggi), ma composizioni come “Alfie” o “Walk on by” che sono il suo marchio di fabbrica, sono qualcosa di più di un semplice accompagnamento musicale per pellicola cinematografica; le generazioni successive, specie quelle recenti, lo riscopriranno (si pensi a Costello che ha addirittura voluto registrare con lui). Spector, poi, aveva sperimentato il cosiddetto “rafforzamento” del brano che consisteva in un’ “aggiunta” strumentale, una teoria che si apprezzò ascoltando il suo sfortunato disco natalizio, molti episodi della soul music o dell’american rock di Springteen.
La rinascita del ruolo del violino nel pop, dopo un periodo di catalessi determinato dalle vicisitudini della storia che spingeva sulla potenza dei suoni, si ebbe con l’operazione che Todd Rundgren fece nel capolavoro del gruppo Xtc “Skylarking”: fu quello probabilmente il momento con cui si ritornò a pensare che era necessario continuare il lavoro verso la pop art svolto molti anni prima: nei novanta tutto il nuovo movimento pop inglese riprese in considerazione l’inserimento degli archi nella pop songs, in svariate forme e qualcuno ci trovò pure la combinazione geniale come successe nel famoso arrangiamento baroc-style di “Bitter Sweet Symphony” dei Verve. Anche l’indie pop darà una grossa mano alla messa a punto di nuove formule pop arrangiate con elementi di transito diversi: si pensi agli arrangiamenti di Sufjan Stevens o a quelli di Patrick Wolf.
L’inglese Andrew Bird potrebbe rappresentare un capitolo a parte: violinista eccentrico, Bird pubblicò uno degli esordi solistici più interessanti di quell’anno, “Music of hair” del 1996: nonostante le operazioni di collage che imperversavano anche nella pop music, il violinista pensò invece di sostenere le prerogative del violino in un’operazione di riaggregazione di vecchi elementi (dal bluegrass al folk di marca anglossassone, passando per lo swing primordiale di Lang e Venuti) dove a dominare è sempre il violino su una composizione in stile pop che è ancora fatta di pochi elementi: ma sarà da quel punto che Bird comincerà una lenta e graduale ricerca di arrangiamento personale rivitalizzato in una canzone: con lui siamo ai confini tra il pop e il folk, l’inglese è una via di mezzo tra il Nick Drake (ingentilito da Donovan) e ascendenti di beatlesiana memoria, ma la sua particolarità sta nell’inserimento azzeccato di alcuni elementi,  dal fischio morriconiano al pizzicato prolungato sul brano, con una perfetta metrica sonora che già da “Mysterious productions of egg” ne fà un personaggio che va al di là della media: ormai Andrew può realmente fregiarsi dell’autorevole appellativo di artigiano della scrittura pop che nelle odierne forme deve necessariamente passare da un progetto di aggregazioni originali e non insulse che quasi sempre vengono sperimentate nei meandri delle intricate commistioni portate avanti dalle nuove generazioni per costruire una formula spendibile.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.