Mari Takano: chamber orchestra ligetiana

0
428

 

Tra le poche compositrici giapponesi che dopo l’approfondimento in Europa dello studio della musica contemporanea è tornata a comporre nella sua patria, Mari Takano rappresenta un’esempio pregnante di polistilismo allargato: nonostante la stampa e lei stessa la releghi nelle visuali artistiche di Ligeti, la Takano ha probabilmente sviluppato uno stile personale che è profondamente innamorata delle interazioni della classica occidentale con quelle della sua cultura, del jazz, dell’elettronica, riuscendo con molta spontaneità a costruire un prodotto che è semplice e “intelligentemente” complicato allo stesso tempo, che non è il prodotto post-Takemitsu (almeno questo è quello che le fonti di informazione fanno risaltare); per avere un’idea piuttosto completa della sua musica, basta riferirsi ai suoi due dischi per la Bis Records: il primo, pubblicato nel 2002, “Woman’s Paradise – A portrait of composer Mari Takano” conteneva in maniera sufficiente ampia i suoi interessi musicali. I quattro movimenti del tema principale si basano su una positiva correlazione tra le voci che spaziano tra il lied e il generico canto e la strumentazione che seguendo un copione non tanto scontato, ci proietta in parti equilibrate nei generi succitati: i sax di “Casablanca” nel jazz o l'”Abandon” nell’elettronica e nei sequencers; mentre in “Mugen No Tsuki – Mugen No Hoshi” gli strumenti tradizionali giapponesi ci riportano splendidamente nelle musiche tradizionali del Giappone, di fianco ad un contorno di violini est-europeo. Anche i due lied (“Two chansons” e “Blumen-aire”) emanano un profumo di romanticismo cortesemente arricchito da fattori tradizionali e una moderna evocatività alla Schoenberg, merito anche dei coautori dei testi; la splendida “Innocent”, al piano solo, è la sponda più vicina al jazz senza barriere infarcito da una costante melodia giapponese.
LigAlien” è il suo secondo disco pubblicato qualche mese fa: la Takano ricompone una sorta di raccolta delle sue composizioni significative degli ultimi anni: compaiono i quattro movimenti di “LigAlien” così chiamato per rimarcare il suo affetto per Ligeti (Lig è l’abbreviazione del compositore ungherese mentre Alien è il suo ego che si innesta in maniera aliena nella scrittura di Ligeti); in questi è evidente il suo polistilismo che stavolta si miscela a turno non solo con il grande ungherese, ma anche con Stockhausen, Schoenberg o Jarrett: ne esce fuori un’esperimento diverso dai porti sicuri di  “Woman’s Paradise” con un’evidente spostamento dei baricentri compositivi in territori più “rischiosi” con un approccio musicale “misto”, ugualmente di spessore, ma che è come quei farmaci sperimentali che mettono assieme più sostanze per avere un’efficacia migliore: sebbene anche il resto sembra lontano dalla selezione di “Woman’s Paradise”, non si può negare la creatività raggiunta della compositrice giapponese.
Articolo precedenteMichael Finnissy
Articolo successivoIl contrabbasso nordico
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.