La Mongolia ha un territorio vasto cinque volte quello dell’Italia, eppure musicalmente è uno di quelle lande più trascurate che io conosca; probabilmente il motivo è che quei popoli sono stati legati storicamente alle vicende barbariche di Gengis Khan e delle sue dominazioni, ma quest’aspetto rischia di seppellire la bontà di molte tradizioni dei luoghi. Sì, perchè anche un’arida steppa può sviluppare “sensazioni” positive. Divisa tra la zona montagnosa prospiciente all’Unione Sovietica al nord e l’enigmatico deserto Gobi Gloria al sud verso la Cina, la Mongolia vive del suo paesaggio aspro ma incontaminato: come recita Rougledge nella sua “World music – The basics” gli abitanti Tuva esprimono una cultura di pastori e cacciatori che vivono con e tra gli animali; la musica è un mezzo per comunicare con gli spiriti che vivono nelle cose naturali (cavalli, uccelli, vento, pioggia, fiumi ed erba sono gli elementi ricreati nella musica). Uno degli eredi di Einstein, lo scienziato e filosofo Richard Feynman riveste un’importanza fondamentale nella cultura mongola perchè è colui che nel 1977, tramite un suo amico etnomusicologo chiamato Ted Levin, portò alla ribalta il canto khoomi mongolo, ossia lo speciale canto che grazie ad una tecnica di manipolazione della mascella e delle labbra riesce a produrre più suoni contemporaneamente alla stregua di un effetto multifonico. Il soulman americano Paul Pena ne fu così attratto da farne un documentario. Molti di questi canti erano imitazione dei suoni degli animali, ma la tradizione mongola non era fatta solo di questi canti (spesso ringhianti) ma anche di strumentazione personale che accompagnava lo spirito di questa musica che era frutto di un connubio tra influenze della musica tibetana, degli sciamani o appartenenti al nomadismo. Quando all’incirca a cavallo delle due guerre mondiali cominciarono le interazioni e le esplorazioni tra artisti occidentali e orientali, anche i compositori di formazione classica seguirono la stessa sorte: molti sposarono l’idioma occidentale quasi in toto, altri rimasero più fedeli alla tradizione del loro paese: nonostante vi sia un ricordo storico espresso nell’informazione mediatica (vari compositori della Mongolia vengono menzionati nella pagine dedicata da Wikipedia in http://en.wikipedia.org/wiki/Music_of_Mongolia#Classical_music), molto poco è stato registrato o pubblicato in Occidente (non sappiamo in Mongolia per cui nutro un’idea imprecisa); più coltivato è stato il versante “world” che ha visto la nascita di gruppi etnici importanti avallati da una presenza più internazionale: tra questi quelli che più gradisco sono gli Egschinglen, band di formazione classica che ha già al suo attivo parecchie registrazioni disponibili e che hanno forse il pregio di essere più “raffinati” rispetto ad altri gruppi lì presenti (Huun Huur Tu o Yat-kha) che spesso tendono a sovrappesare l’elemento “selvaggio” della musica: in questi albums si respira il paesaggio mongolo ma anche (grazie attraverso il connubio tra violini particolari/strumenti tradizionali come il Morin khuur) la capacità di librare la propria visuale della vita che è gioia, forza, orgoglio della propria regione, la quale è la fonte d’ispirazione per temi profondi ottenuti catturando nell’operazione musicale splendide melodie (quelle a cui molti compositori classici mongoli e non del passato/presente, si sono ricondotti); esistono anche dei siti dedicati alla promozione della musica di quel paese con molte informazioni eterogenee al riguardo, tra i quali vi segnalo http://grandmongolia.blogspot.it/ e http://mongolianmusic.blogspot.it/. La Mongolia degli ultimi decenni si è aperta a molte contaminazioni “occidentali” (pop, rap, techno, ecc) ma personalmente trovo i risultati spesso deludenti perchè mortificano quella purezza “nascosta” nel suono tradizionale mongolo, che non ha nulla da invidiare alle migliori tradizioni occidentali o alle culture di matrice indigena.
Discografia consigliata:
Enkhtaivan Agvaantseren, Mélodies de Mongolie, quattro volumi, Idugan M.
Jantsannorov Natsaq, Let the Mount Burkhan khaldun bless you, Jantsannorov R.
Lei Liang, Gobi Gloria, The Ying Quartet, Telarc
Egschinglen
-Traditionelle mongolische Lieder, Heaven and Earth 1996
-Gobi, Heaven and Earth 1997
-Zazal, Heaven and Earth 2002
-Gereg, Heaven and Earth 2006
Huun Huur Tu
-Orphan’s lament, Shanachie 1995
Lei Liang, Gobi Gloria, The Ying Quartet, Telarc
Egschinglen
-Traditionelle mongolische Lieder, Heaven and Earth 1996
-Gobi, Heaven and Earth 1997
-Zazal, Heaven and Earth 2002
-Gereg, Heaven and Earth 2006
Huun Huur Tu
-Orphan’s lament, Shanachie 1995
Resto aperto ad altre segnalazioni discografiche che non conosco.