Il Chromodal di provenienza iraniana

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foto vimeo by YBCA
Così come contrastata è stata la storia del Medio Oriente, così frastagliato si è dimostrato il cammino della musica in quella regione: se stati come Israele hanno scelto una discutibile “occidentalizzazione” del loro bagaglio culturale (le cui ragioni sono in parte condivisibili), in altri stati come ad esempio l’Iran, stato centrale dell’ex impero persiano, le tradizioni sono rimaste fortissime e la cosiddetta musica classica di quei luoghi (che è diretta ascendente dal maquam orientale) non ha permesso di formare compromessi con gli orientamenti musicali dell’Occidente. Il primo a rompere gli indugi fu Cowell che compose la sua “Persian Set”, confermando successivamente il suo interesse per quei popoli con l'”Hommage à l’Iran”; poi ci pensò Terry Riley nel suo “Persian Surgery Dervishes” a darne una versione aggiornata ai tempi dell’avanguardia minimalista e delle composizioni in just-intonation; se questi possono considerarsi degli antecedenti combinatori per ciò che concerne gli agganci con la musica classica, negli altri generi personaggi di rilievo in tal senso vanno ricercati in musicisti crossover come Peter Gabriel che ne diede una splendida esemplificazione in molti episodi della soundtrack di “L’ultima tentazione di Cristo”; fu grazie anche a questo evento ed ai musicisti del posto presentati che una buona parte di musica tradizionale venne portata alla registrazione. Nel jazz il percorso d’apertura alla contaminazione orientale aperto da Coltrane fu l’atto iniziale, ma effettivamente l’Iran ne è sempre quasi restata fuori per via dei suoi principi politico-religiosi, e sebbene non mancassero comunque episodi abbastanza isolati (Rabih Abou-Khalil il libanese è l’unico ambasciatore del jazz medio-orientale per molti anni), uno studio approfondito delle possibilità di incrocio di due mondi musicali così diversi rimaneva un campo di osservazione esplorabile: il sassofonista Hafez Modirzadeh, pur non essendo cresciuto in Iran, è stato colui che dello sposalizio tra la tipica modalità persiana e il jazz afro-americano ne ha fatta una vera e propria teoria. Nel 1992 veniva pubblicato “In Chromodal discourse”, che dimostrava come fosse possibile ricavare la formula del “Chromodal”, ossia come fosse possibile mettere assieme la cadenza tipica delle teorie modali di provenienza persiana (in particolare) e il jazz inteso nel senso voluto da musicisti come Ornette Coleman, che erano votati ad un uso armolodico dell’improvvisazione jazzistica: per Modirzadeh il processo di avvicinamento tra le due culture non è semplicemente un tentativo di mettere assieme radici musicali e contemporaneità del jazz, ma di trovare quella formula convincente e “didatticamente” di spessore che possa, attraverso l’accostamento delle due culture, portare ad un pieno appagamento della libertà spirituale degli uomini per il tramite musicale. Su questo sentiero Hafez ha trovato molti alleati, alcuni della sua stessa provenienza geografica, come il trombettista Amir ElSaffar, ed altri più o meno vicini: gli indiani Vijay Iyer e il sassofonista Mahantappa, il contrabbassista Ken Filiano, e molti nomi illustri del jazz americano.
La recente pubblicazione di Modirzadeh “Post-Chromodal out!” costituisce un’approfondimento di questa nuova filosofia che ha probabilmente valore di testamento, dato che le prove validissime di Hafez e Amir costituivano applicazione pratiche dei teoremi; ma se nelle precedenti prove si avvertivano alcune frammentazioni o riferimenti più concisi verso una sorta di jazz immerso in un senso di world music di stampo orientale, in “Post-Chromodal out!” l’esperimento costruito sul piano aggiunge un nuovo elemento di interesse. Il piano viene praticamente sezionato in una parte in temperamento equabile e segmenti invece in cui l’intonazione è volutamente non rispettosa dell’accordatura occidentale (ottenuta tramite una riproposizione di scala modale in toni rispettosi della modalità persiana); Iyer, che si dimostra coraggioso ed intelligente nel nuovo approccio, dà una nuova caratterizzazione alla parte jazzistica, poichè introduci creativi scampoli storici del jazz (forte è il richiamo del pianista alla spigolosità Monk interiorizzato nella struttura modale); qui viene nettamente ampliata la dimensione jazzistica a cui fa riferimento Modirzadeh, ecco perchè il riferimento al termine “post”.
Inana“, ultima prova di Amir ElSaffar, invece, consolida il percorso artistico già intrapreso con “Two rivers“, dove c’è più spazio per una più equa condivisione delle parti: la parte ritmica, ben dinamicizzata è calata in occidente con una funzione di sostegno a quella solistica, che è quasi totalmente in mano alla modalità degli strumenti in assolo (Ole Mathisen al sax, Tareq Abboushi, al buzuk e Zaafir Tawil su oud, violino, dumbek); la differenza che contraddistingue lo stile di ElSaffar rispetto alle tematiche di Modirzadeh, sta probabilmente in una minore ricerca della sonicità a favore di spinte più percussive che tendono a privilegiare l’incrocio tra impianto jazz e aspetti “tradizionali”. In questo senso si può affermare che è un prodotto più “world” e meno teso (in quantità) alla ricerca di improvvisazioni jazzistiche di particolare livello tecnico.
Discografia consigliata:
Hafez Modirzadeh, In Chromodal discourse, Asian I., 1992/ “Post-Chromodal out!”, Pi-Recording, 2012
Amir ElSaffar, Two rivers, 2007, Pi-Rec./Inana, 2011, Pi-R.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.