John Wolf Brennan può considerarsi tra i primi pianisti europei che hanno contrastato in maniera efficace il predominio stilistico che dall’America pianisti come Jarrett, Hancock o Zawinul stavano imponendo anche in Europa dalla via del rock: infatti se ci riferiamo ai settanta circa, dobbiamo giocoforza risalire al periodo di fusione con il jazz; in Europa i pianisti al confine tra i due generi non erano molti (Joachin Kuhn, alcuni inglesi come Keith Tippett e Mike Ratledge) poichè la maggior parte di essi stava già virando nelle opportunità del free jazz a carattere improvvisativo (Irene Schweizer, Misha Mengelberg, etc.). Brennan era proprio uno di quei meravigliosi pianisti che riusciva ad essere alla pari, qualitativamente parlando, agli americani: il suo era un pianismo di effetto, che ebbe un visibile cambiamento negli anni novanta: tutta la prima parte della sua discografia (dai duetti plurimi con il sassofonista Urs Leimgruber a quelle con il chitarrista Christy Doran) incorniciano un periodo d’oro per il jazz svizzero che, pur basandosi sugli umori delle proposte “nordiche” Ecm, se ne distaccava grazie al talento dei suoi strumentisti che esibivano stili propri: si parla quindi di tutto il periodo che va “Mountain Hymn” del ’86 fino a Polyphyllum dell’89, in cui Wolf Brennan costruì la sua fama internazionale con un pianismo decorativo, figlio di una serie di elementi “moderni” (le colorazioni di Jarrett, i clusters di Cecil Taylor, le cadenze ritmiche dei pianisti di rock progressivo); se già in quelle prove comparivano situazioni di sperimentazione al piano è con l’avvio della carriera solistica nonchè di tutta una serie di collaborazioni successive dopo il 1989 che John si getta a capofitto nella improvvisazione free con un forte connotato di approfondimento verso le preparazioni del piano (memore delle esperienze di Cage). Quello che si modificherà nel suo pianismo sarà quindi questo maggior uso delle sonorità oblique e dissonanti provenienti da un uso estensivo del piano che viene accompagnato anche da riferimenti nel campo della scienza, della fisica o delle altri arti. Tutti i suoi progetti sono splendide dimostrazione d’arte (tutta la discografia al piano solo è assolutamente da possedere) e sempre in continua evoluzione di pensiero: si pensi alle “diversità” delle collaborazioni in trio con Picard e Prevost in “Entropology” o del gruppo “Pago Libre” in cui il piano affronta in maniera personale il retaggio con i suoni world (Mongolia, Turchia, Russia, alpi Svizzere, etc.), oppure alle operazioni bucoliche di “Pipeline” con Hans Kennel, in cui suona l’organo con propensione progressiva pseudo-classica. Il mondo di John Wolf Brennan è come uno scrigno pieno di oggetti diversi, una scoperta di suoni in continuo divenire che è ben lontana dal fastidio.
Esther Fluckiger è invece una sensibile pianista d’avanguardia già molto conosciuta per aver interpretato un pò del pianismo classico-moderno (Martin e Martinu), nonchè molto repertorio essenzialmente classico; qualche anno fa pubblicò il suo primo cd di composizioni scritte da lei “Spazier Klang Aves Creaturas”; la svizzera può già considerarsi l’erede di Wolf Brennan in termini stilistici
L’incontro dei due in “Tarkus and other love stories” segue un progetto condiviso di ricostruzione di alcuni brani popolari di gruppi importanti del rock progressivo inglese dei settanta (E.L.&P., Genesis, Gentle Giant, King Crimson) con l’inserimento di due composizioni scritte ciascuno dai due (“Perpetuum” di John e “Spiders” di Esther) in stile avanguardistico; vengono messe in mostra la bravura tecnica dei due pianisti che usando spesso il pizzicato o l’arcopiano, dimostrano come sia possibile ottenere dallo strumento una omogeneità dei suoni che è anche omogeneità dei temi, frutto di uno studio non solo “tecnico”. Si crea quel contrasto naturale tra romanticismo del passato e insicurezza del presente che è una dei lati più curati dei due pianisti.