L’ambient music è un genere musicale che di sicuro può appartenere al novero delle attività musicali di avanguardia, specie se con quest’ultima si vuole dare significato ad esperienze che hanno il pregio di sconvolgere il normale approccio mentale dell’ascoltatore; Brian Eno ne aveva capito benissimo i contorni quando agli albori delle sue sperimentazioni proponeva l’ambient music come qualcosa che non dovesse suscitare più di tanto l’attenzione dell’ascoltatore per i suoi particolari musicali e che al contrario doveva costituire qualcosa che avesse poteri extrasensoriali: ogni volta che ci trova davanti ad un prodotto che abbia a che fare con droni, percussioni tribali, misticità di tipo orientale etc., è necessario che scatti un meccanismo nella nostra attenzione, che ad un certo punto del brano (solitamente 7-10 minuti) ci faccia perdere la cognizione dell’ascolto per trasportarci in un mondo parallelo, che possa farci vivere una dimensione reale di quelle sensazioni (positive od oscure che siano); il sondare la mente e la sua psiche può aiutare l’uomo a comprendere meglio la sua natura e gli obiettivi che si pone. Eno non fu solo in questo compito di illustrazione delle capacità sensorie: due splendidi rappresentanti furono Steve Roach e Dirk Serries (in arte Vidna Obmana) che proprio alla Projekt Record fondarono un sodalizio importante durato per più anni e più registrazioni. Dirk era già un valente isolazionista dell’ambient music, mentre Roach nell’anno del loro incontro (1996) era già in una fase di pieno approfondimento dell’elettronica vicina alle teorie della psico-acustica. “Well of souls” (considerato da molti uno dei capolavori del genere) introduce benissimo a quel concetto di cui si parlava all’inizio di questo articolo: il compito di scardinare le difese sensorie dell’ascoltatore viene rappresentato intensamente; sia che si esplori la profondità dell’animo con percorsi musicali fatti di droni o di tribalità percussiva, sia che si affronti la ricerca di spiritualità con riti propiziatori di ispirazione zen, si è di fronte ad un “viaggio” sonoro che ha proprio nel suo dna costitutivo le qualità musicali per provocare quella sensazione magica di estraniazione dalla realtà e di percepimento di atmosfere cosmiche. Roach e Serries impostano delle magnetiche suites in drones che si arricchiscono man mano di nuove “percezioni” nel divenire dei brani: si tratta di splendide aperture compositive, degne dell’applicazione teorica di un compositore di musica “contemporanea”, che ci accompagnano in questa esperienza che è basicalmente “oscura”. Si arriva quindi ad un magnifico paradosso: si entra in quel “mondo” dove il particolare nel complesso non conta, ma è proprio grazie a questi particolari musicali che è possibile il “viaggio”.
“Low Volume Music” arriva dopo dieci anni di pausa collaborativa e rimescola le carte. Si nota un palese avvicinamento alla purezza del suono del drone con tessiture minime che prendono le dovute distanze stilistiche dai precedenti episodi discografici. Stavolta il tentativo è quello di riagganciare l’estasi e la ricerca della bellezza interiore attraverso un minimalismo sonoro, con pochissime variazioni, teso a raccogliere potenza espressiva solo dall’incedere nello spazio sonoro del drone modificato.