Sembra che la cultura del “pedale” stia alimentando nuove speranze nella ricerca dei musicisti: quello dei suoni ottenuti da variazioni della pedaliera applicata agli strumenti a corde, fornisce un argomento a favore di coloro che ritengono che partendo dagli strumenti sia ancora possibile addentrarsi in una sorta di mondo fantastico, onirico e avventuroso al tempo stesso. Daniel Barbiero, contrabbassista americano, di cultura contemporanea (in queste pagine a voi già noto per il progetto Colla Parte e Mercury fools the Alchemist), usa un pedale a 62 effetti, di cui però ne seleziona solo alcuni per ottenere dei suoni “perspicaci”. Quello di cui vi parlo si erige dal mondo vastissimo della musica sperimentale, questo enorme bacino di musicisti che, grazie ad entità come Bandcamp/Boomkat o le netlabels, segnala una vitalità nella voglia di futuro della musica che è proverbiale, concentrata nella ricerca di suoni o rumori che non hanno niente del manierismo degli esperimenti senza significato. Daniel è uno dei più saggi sperimentatori del suo strumento in tanti àmbiti, perchè distribuisce la sua formazione contemporanea nella poliedricità dei progetti intrapresi; oltre a scrivere e suonare partiture per il suo strumento, filiazione della cultura dell’artista innamorato delle teorie di Cage e in generale di quelle delle interazioni con il silenzio (vedi Not One nor Zero), Daniel suona il contrabbasso nelle formazioni di jazz (con profitto nel trio Colla Parte, oltre a varie collaborazioni estemporanee) adoperandosi in un suono camerale che sta tra la classicità e il moderno; oppure si impegna nei territori della free improvisation con largo impiego di tecniche estese (nel progetto Hermes), quando non si rifà al drone, costruito in modo tale da evitare le facili cadute di tono dovute alla noiosità della ripetizione; è un’attività questa tesa a sfruttare dal suo arco momenti di sonicità non convenzionale (vedi i Mercury fools the Alchemist); su questa ultima falsariga si inserisce l’approfondimento di Aberration in pitched systems in duo con Chris Videll, musicista dedito alla generazione di suoni elettronici, che lo vede impegnato mentalmente verso un sound che non vuole solo sfrondare il suono ma essere in simbiosi con un processo compositivo che parte dalla considerazione che le idee sono più ricche quando possono essere elaborate. E’ in questo contesto che in “Etheric Voice double” si inserisce una melodia che rieccheggia l’orientalità beatlesiana di “Within you without you”, oppure si fa entrare l’elettronica e il suo carico sonico-avventuroso in “Kordylewsky cloud at 5” che vi porta a spasso nelle nuvole (nel pensiero) senza preconcetti, dove un’ottimo lavoro di scultura sonora è svolto da Videll nel contesto; la title-track interamente suonata aggianciando le improvvisazioni di contrabbasso nello stile di Daniel con gli effetti di pedale apre ampie prospettive di miglioramento in entrambi in sensi e dà la sensazione che gli esperimenti di elettro-acustica non siano per niente giunti al termine della creatività.
Se l’amore e il rispetto verso i suoni naturali non è una novità nel campo musicale, che su questi elementi ha basato una teoria, spesso il problema è provare a catturare l’anima dell’ambiente riprodotto e soprattutto un soggetto valido che susciti l’interesse dell’ascolto. Nella musica concreta e nel regno dei suoni naturali la lista di coloro che hanno apportato contributi è già lunga ed esaustiva, tuttavia il duo spagnolo Olatunji, composto da Tomàs Gris (sax soprattutto) e Txema Fernandez (percussioni soprattutto), ha intrapreso come scelta di vita quella di abitare in prossimità degli ambienti naturali dell’Asturia nel nord della Spagna e mi sembra abbia molte chances di affascinare: in Arche gli eventi atmosferici (acqua, vento, scricchiolii, voci amene di sottofondo che introducono a dei sommessi rituali amazzonici) si mischiano benissimo con gli accenti di sax, di percussioni più o meno nobili, creando un film musicale “concreto” che potrebbe star benissimo accanto alle opere migliori di Francisco Lopez. E’ “musica” che accetta uno sconfinamento mentale nella fruizione, ma che permette di condividere al meglio questa esperienza subliminale dei due artisti spagnoli, un tuffo nel “primitivo” intimo musicale solo accennato nella musica degli Art Ensemble of Chicago o nei lunghi viaggi in presa diretta di Annea Lockwood. Nelle note Tomàs si definisce come “….free improviser…developing a sound language that approaches dada, art brut, cobra movement; working with amplified objects, feedback, reeds, acoustic instruments. the sound. the silence. the noise. semiotics of nonsense. philosophy. ontological concepts from the mechanism, the question about nihilism, postmodernism, etc… “