Dark Cabaret: una sintesi possibile

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Fabrizio Sciami Nick Cave & the Bad Seed,https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/ No change was made
 Visitare il quartiere di Montmartre a Parigi è un’esperienza unica che rende molto bene l’idea di quell’arte francese che si studia sui libri e che è ancora oggi continuamente rimessa in gioco: oltre agli aspetti che si calano nella architettura delle strutture, quello che si può godere è un clima “operoso” che sembra non aver perso nulla del suo passato; la patria dei più grandi pittori specie impressionisti e cubisti riflette, anche nella dimensione circostante, uno status artistico che è facilmente ricollegabile alle vicende della bella epoque francese a inizio novecento. Anche il cabaret nacque lì, ma dovette subire il forte spostamento di direzionalità che contraddistinse quello formatosi parecchi anni dopo in Germania, ovviamente per via delle diverse tematiche; l’avvento della seconda scuola viennese (Schoenberg, Webern, etc.) aveva creato le premesse per spingere su motivi ulteriori e diversi rispetto a quelli francesi (da molti ritenuti frivoli) per porre le basi di un rinnovamento artistico che coinvolgeva tutte le arti (dalla letteratura alla musica). Ecco quindi che movimenti come il dadaismo, il futurismo e l’espressionismo nell’àmbito dei relativi fermenti musicali si ponevano come una nuova modalità di espressione perfettamente calibrata nelle arti; il cabaret tedesco degli anni venti era proprio un surrogato di questa tensione dell’uomo che non si proiettava più nelle “immagini” superficiali, ma si spingeva nelle “immagini” interiori, quelle dell’animo o quelle che esorcizzavano le paure e i sentimenti più beceri. Questa rappresentazione di musica teatrale costruita su elementi di drammaturgia e di imperioso sarcasmo aveva di fatto impostato un “genere” intradisciplinare tra le arti: Brecht e Weill ne furono le figure guida di un più ampio movimento in cui si configurava geneticamente una musica dell’assurdo e della derisione dell’evento mortale imminente, cosa difficile da digerire (anche per i tratti non comuni alla musica), ma perfettamente in linea con le prerogative dell’animo. A dire il vero un’elemento francese (se poi francese lo consideriamo nella sostanza storica) che potrebbe essere incrociato con le gesta del cabaret tedesco è il poeta Rimbaud per via della sua poesia maledetta: il francese fu l’ispiratore negli anni sessanta di tutta la poesia “da strada” di Kerouac e soci e soprattutto fu il perno su cui si basò l’idea poetica del principale personaggio dell’allora neonato movimento musicale del punk, la cantante Patti Smith, grazie alla quale lo stesso acquisì quel quid culturale in più che probabilmente la musica e le tematiche di “reazione” del punk stesso non avrebbero permesso di raggiungere. Ecco quindi che si arriva ad un primo collegamento tra il vecchio teatro tedesco e la musica delle nuove generazioni. Come risaputo il punk si sviluppò in varie direzioni musicali, trovando un forte appiglio nei giovani degli anni ottanta che coltivavano l'”oscurità” musicale. Quest’ultima era un legame che il rock si portava dietro grazie ad un gruppo superfamoso e alla sua cantante: i Velvet Underground di Lou Reed e Nico. La razionalizzazione della sofferenza e la denuncia contro i problemi insormontabili del mondo veniva a contatto con una sorta di “espressionismo macabro” musicalmente ineccepibile, sul quale una miriade di gruppi del punk e post-punk trovarono la loro ideale arca di Noè. Dopo le prime versioni annientatrici e sepolcrali del genere fatte da gruppi come i Joy Division e prima che questo entrasse in una marea di sottodivisioni e condivisioni di stili musicali, vi furono alcuni artisti che quasi si incaricano di trascinare nel tempo la versione moderna espressionista del cabaret tedesco: la scrittura di Kathleen Brennan per il marito Tom Waits costituisce una nuova visuale futuristica che arriva dopo il cambiamento post-ottanta, così come le mirabili vignette organizzate in forma di racconti noir del bluesman australiano Nick Cave, diventano a causa di un rinnovato senso di dolore del blues e della dimensione oscura in cerca di riscatto, nuovi punti di riferimento per il mondo “dark”. Il “dark cabaret”, sub genere che si sviluppa nei novanta ma che subisce la sua prima reale rappresentazione nel 2005 nella raccolta dedicata della Projekt in Projekt Presents: A Dark Cabaret, di cui uscirà anche un secondo volume, è l’estrinsecazione di questa ulteriore apertura di prospettiva: in esso confluiscono in maniera variabile elementi degli artisti sopra richiamati (Weill & Brecht, Patti Smith, Velvet e la vocalità da femme fatale di Nico, le evoluzioni musicali di Siouxsie, il flusso gotico dei gruppi post-punk, le invenzioni vocali e musicali di Waits, le storie di dolore e di redenzione di Cave)Molti critici useranno anche termini specifici come “cabaret noir” per indicare un’ipotetica equivalenza nel campo del cinema, o “glam cabaret“, con riferimento al movimento glam di Bowie, Eno, etc., causa le analogie nel tessuto compositivo (non si dimentichi che il movimento inglese si intrecciò con gli ambienti del punk dei settanta). Sono proprio le proposte più focalizzate ad essere certamente più originali e in questo senso le cose migliori arrivano da una serie di artisti o piccole formazioni (i due dischi della Projekt sono un buon inizio per selezionare) in cui emergono le proposte del portavoce del movimento, la cantante Amanda Lear soprattutto nella versione The Dresden Dolls, che è sicuramente affine ad un concetto più rispettoso della tradizione teatrale tedesca.
 
 
Jill Tracy – Silver Smoke, Star of night

Pur appartenente al filone dark cabaret, la cantante e pianista di S.Francisco, Jill Tracy, sembra aver una propria definizione parallela del genere intrapreso. Se i temi sono lugubri, la musica è forse meno agghiacciante di quello che si pensa. Essa insiste su un giro di accordi di piano “oscuri” completati da una vocalità tenue che è  molto vicina a certe tipicità della folk song odierna. Con il tempo gli episodi diretti pro-cabaret hanno ceduto la mano ad una non meno accattivante propensione alla ballad pianistica (con molte similitudini allo stampo di “Nightporter” di Sylvian); questo disco di rifacimenti in chiave dark di temi natalizi e sue canzoni colpisce per il fatto che, data la composizione oscura, non è per niente avvilente, anzi è vivo nei concetti e non votato esclusivamente alla tristezza. Questo suo modo di interpretare (che conduce a risalire a modalità antiche di canti oscuri) più che mistico, introduce probabilmente un “sentire” differente della festività che cerca di ridargli lustro cercando di focalizzarsi meno sulle abitudini e più sulle vere intenzioni. In questo disco solo il piano monocorde mi ricorda di essere in un ambiente oscuro, poichè tutto il resto insinua quasi tenerezza, dalla vocalità che rammenta in molti casi quella di autrici folk moderne come Vienna Teng, alla ricostruzione del brano che si nutre di giri e litanie che evocano il più immobile dei Nick Cave. 

Adrian H and the Wounds – Dog Solitude

In molti hanno ripreso in considerazione “Murder Ballads” di Nick Cave per descrivere la qualità del lavoro di questo gruppo statunitense di Portland. La voce di Adrian che si divide tra il bisbiglio vocale di Tom Waits e reminiscenze glam, è tratto tipico piuttosto distante musicalmente dal Cave richiamato: il dark cabaret di Adrian H and the Wounds si fa più inquietante per via dei toni gotico/horror. Questo secondo “Dog Solitude” (ristampa edita lo scorso anno) contiene poche concessioni al cabaret (forse la più evidente è il rifacimento di “Chim chim cher-ee” tema musicale dominante del film Mary Poppins) e si addentra spesso in una realtà sinistra che sembra non permettere nessuna redenzione: però sotto questo strato di cemento armato sonoro, vi è un sax ben impostato che si staglia di contrasto alla mancanza di respirazione.  

 

 
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.