Tra le culture tradizionali orientali considero quelle della Indonesia e paesi collegati (Malaysia e isole restanti) quelle più controverse. Non so, è una sensazione…ma mi sembra che manchi quello spessore e quella intrinseca fierezza che ascolti in paesi come ad esempio il gruppo Cina-Giappone (con Mongolia, Vietnam e Corea) o nei gruppi indiani. Specie in Indonesia l’incrocio di culture diverse è stato appagante dal punto di vista della creatività, forse lo è stato meno per confermare un’identità specifica: è questo il motivo per cui preferisco ancora le tradizioni del paese pre-novecento che purtroppo spesso vengono sottaciute per far prevalere gli aspetti recenti della contaminazione. Il riferimento è personaggi come Debussy o al dimenticato Colin McPhee che aprirono il loro lato compositivo al misticismo orientale di quei posti.
In Indonesia ci sono almeno trecento gruppi etnici (oltre ad isole disabitate) e tra la diversità della popolazione a livello musicale ciò che si è imposto nel tempo, anche nel resto del mondo, sono state la passione per le percussioni di Java e del Bali anche sistemate in forma di gamelan (distribuita su gongs, xilophoni e percussioni a mano) e il cerimoniale turistico di Kecak.* La musica indonesiana influenza anche quella della Malaysia, sebbene giova ripeterlo in questi posti si trovino elementi musicali molto diversi tra loro, che risentono delle influenze indiane, cinesi e portoghesi che hanno probabilmente contaminato in misura negativa, come già detto, l’identità storica dei luoghi, ulteriormente colpiti, poi, dalle più moderne tematiche pop derivanti dall’Occidente. Anche la Thailandia è stata inondata delle convenzioni musicali di tutto il mondo, sebbene la maggior parte della popolazione sia in simbiosi con la Thai Music, musica del posto che risente comunque delle pulsazioni della cultura cinese.**
Tra i musicisti più interessati alle zone in questione, che ha cercato di rappresentare quella tipologia di percussioni (soprattutto balinesi) sperimentando le stesse in nuovi contesti anche extra-etnici, c’è il percussionista Andrea Centazzo. Da sempre sua principale prerogativa nell’ispirazione Andrea ha pubblicato qualche mese fa un cd in tema, “Seven Giant Waves” dove si assiste ad una sorta di preservazione delle vere tradizioni musicali di quei luoghi accompagnata contestualmente dalla preservazione dell’ambiente sottintesa al documentario di cui fa parte e dedicato alle “Sea Gypsies della Thailandia“. Inoltre queste musicalità in bilico tra tocchi percussivi esotici ed orgogli territoriali (voce in tema e strumenti etnici) hanno costituito una sorta di scrigno dei segreti nascosti utili per impostare la teoria minimalista che ha contagiato l’avanguardia classica dagli anni sessanta in poi. Andrea mi spiegava correttamente come leggendo le partiture balinesi del 1940 si ritrova la musica di Glass, Adams e Reich (e di conseguenza anche la sua).
“Seven Giant Wave” calibra bene la musica rispetto alle ipotetiche immagini (che non si vedono nell’ascolto) e fornisce anche un modello di canto (quello di Pramongkit) che è raffinato e gradevolissimo. Questa è world music percussiva che non è solo scritta per fare da cornice a documentari del posto; ha una sua progettualità, un suo valore musicale e penso colga aspetti che meriterebbero un nostro maggior approfondimento. Questo lavoro esercita un fascino discreto e forse indispensabile.
*per avere un’idea completa della musica indonesiana potreste approfondire con la serie di Philip Yampolski, mentre una fedele rappresentazione del kecak può essere trovata su Bridge R. in “Balinese Music Drama”. Quanto al gamelan, una raccolta dei principali tipi di gamelan dei vari villagi del Bali può essere trovata su “The Gamelan music of Bali”, World Music Library, 1994.
**per un quadro abbastanza esaustivo ma generale si può ascoltare la Rough Guide to Thailand per la World Music Network, da cui potete partire per un approfondimento degli artisti.