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Una delle principali caratteristiche che amo nella musica è quella della coerenza: molti artisti nel tempo non he hanno fatto un buon uso specie quando hanno visto incrementare il loro successo tra il pubblico; c’è ne sono altri che, invece, il successo planetario tra il pubblico non l’hanno mai cercato, perchè l’ottica era quella di colpire l’audience senza andarla a forzare, che fosse in grado di comprendere la proposta: la pianista Hildegard Kleeb e il suo partner il trombonista Roland Dahinden si sono da sempre adoperati per riproporre e divulgare il mondo dell’improvvisazione libera di ascendenza post-cageana, incrociando i nomi “storici” attratti dall’area creativa newyorchese (oltre a Cage, Wolff, Tenney, Lucier, Braxton. etc.) con le accettazioni teoriche di molta parte del mondo compositivo europeo, ed integrandosi a perfezione nelle teorie che da sempre hanno indicato in altri concetti come la casualità, le preparazioni degli strumenti e i clusters o i silenzi e le tecniche di estensione, alcune delle vie da seguire per il futuro della musica, incrociando soprattutto l’esperienza fatta dai jazzisti. I due svizzeri si sono fatti apprezzare molti anni fa per la riproposizione di alcuni brani di Cage in versione piano-trombone, ma è indubbio che gli stessi andrebberro citati anche per altre registrazioni (tra tutte forse la Kleeb va ricordata per le “Grisailles”, composizioni per triplo piano del compositore Peter Ablinger); il duo piano-trombone non è certamente uno dei duetti più seguiti nel jazz, perciò anche in funzione della matrice contemporanea questi due musicisti hanno fatto un gran lavoro di interplay che mostra le interconnessioni tra i due strumenti. “Recal Pollock” è un vero e proprio testamento di questi rapporti: un omaggio al pittore, che ha completato il processo di trasformazione verso le arti non figurative, potrebbe essere insidioso da condurre specie se non si hanno mezzi sufficienti di espressione: invece i due compiono un lavoro “narrativo”, in cui ipoteticamente attraverso la musica viene descritta una ideale giornata del pittore: da una parte Kleeb propone il suo pianismo a scoppio con clusters che evocano spargimenti di vernice a flotti, dall’altra Dahinden, con una straordinaria padronanza delle tecniche estese del trombone, guida la mano del pittore nelle sue evoluzioni nervose e creative; strumenti che parlano un linguaggio sonoro diverso da quello che si è soliti ascoltare, terribilmente duro ma affascinante e che mostra un alternarsi tra composizioni più dinamiche ed altre più riflessive (come se il pittore stesse pensando a cosa fare). Non avendo fornito quasi mai una prova di verifica dell’efficacia delle loro composizioni, a causa della loro splendida vena di reinterpretatori, questo “Recall Pollock” è una preziosa fonte per inquadrare finalmente il loro lavoro a livello discografico.