Goat’s Notes – Fuzzy Wonder
Nelle note di presentazione del loro sito internet questo gruppo russo sembra si sia formato sotto la spinta del pianista Grigory Sandomirsky e del contrabbassista Vladimir Kudryavtsev, a cui si sono aggiunti altri giovani musicisti considerati piuttosto stravaganti (tra essi la violinista a piedi nudi Maria Logofet). A dimostrazione che lo scenario jazz russo non si è mai eclissato, questo gruppo di improvvisatori di Mosca è preso dal gusto di unire le poli-armonie del free jazz dell’orchestrina di “Blues and roots” di Mingus con lo spirito bizzarro improvvisativo di “The grand wazoo” dello Zappa, dove chiaramente deve essere accantonata quella parte della musica che ha un legame con il rock; inoltre specie a causa della tipologia di strumenti utilizzata spunta qualche accento etnico della loro terra. “Fuzzy Wonder” riserva molte gradite sorprese strumentali, anche di spessore, che mettono in evidenza oltre alla vena dei due iniziatori, anche un fondamentale contributo dei due fiatisti, l’eccellente trombonista Ilya Vilkov e il dotato clarinettista Andrew Bessonov. Trascinato da una sorta di intelligente ironia da gruppo in odore di free jazz anni sessanta, “Fuzzy Wonder” si avvicina con risultati confortanti agli umori distillati nelle composizioni di Mingus e a quelli delle bands del primo free jazz americano (Charlie Haden e la Liberation Orchestra, per tutti), con brevi incursioni in libere improvvisazioni più distanti dal modello tipico del primo free jazz statunitense, che lasciano intravedere una volontà di mantenere anche la radice etnica.
Yang Jing & Christy Doran – No. 9
Questa collaborazione si presenta come un’incrocio culturale tra la filosofia di uno dei maggiori rappresentanti e divulgatori della pipa cinese, la cinese Yang Jing, e quella occidentale, fantasiosa e libera nel porsi, dello svizzero chitarrista Christy Doran. Se Doran non ha bisogno di presentazioni (al più presto spero di imbastire un articolo sulla sua carriera), per Yang Jing basterebbe dire che la stessa ha un palmares diviso tra la musica classica (non solo quella orientale per antonomasia, ma anche quella approfondita in incrocio con l’occidente) e il jazz (ha duettato con Pierre Favre e i jazzisti svizzeri del 4-tet); in questo “No.9” l’approccio è ancora diverso: la Jing si misura sul terreno di Doran, quello non tanto degli OM dei settanta, quanto quello di “Red twist & Tuned Arrow” o “Henceforward” degli ottanta, fatto di jazz tonale, imbevuto di romanticismo, che costruisce quadretti colorati di pensiero come nella migliore tradizione “atmosferica” dei chitarristi di confine: se dal punto di vista del suono Yang Jing ne esce pienamente integrata, dal lato dei contrasti culturali sembra più ridimensionato l’apporto innovativo, specie quando si pensa al cd registrato sotto l’ombrello improvvisativo del 4-tet, “A different song – Step to the future”, in cui l’istinto orientale probabilmente ne risultava più rafforzato. Come dire Doran ti porta in un atmosfera che è predisposta naturalmente per esprimere istanze “orientali”, mentre con il 4-tet bisognava imporla. Ma aldilà di queste considerazioni tecniche, “No. 9” vi riporta a magnificenze sonore di cui siamo alla ricerca ancora oggi.