Nelle recensioni del primo disco adulto del pianista jazz David Virelles per la Pi-Recordings (etichetta sempre più elettiva e al passo con i tempi per l’inserimento dei suoi musicisti), gran parte della critica mondiale sembra aver confuso il vero punto centrale della musica del cubano: nella stragrande maggioranza dei casi di parla di jazz etnico, con una equa condivisione della musica jazz (chiaramente sviluppata a New York) con il jazz cubano (sua origine formativa). Se è condivisibile l’ammirazione nutrita a livello complessivo per il progetto “Continuum” di questo giovane pianista (che dovrebbe costituire la sua seconda prova da leader), non altrettanto condivisibile mi sembra poter parlare di esplicative, udibili influenze di jazz proveniente da Cuba; quello che Virelles ha costruito è sì un mondo di intersezioni ma con un prevalenza di quelle di tipo letterario o pittorico; quelle musicali (e Cuba in tal senso può vantarsi di aver generato una pletora di particolari ed originali istituzioni musicali) sono state usate con gran parsimonia per accompagnare gli umori poetici particolarmente presenti nella intelaiatura jazzistica: “Continuum” si avvale di una struttura in cui sono perfettamente calibrati gli interventi al piano, è un jazz a tratti tradizionale che ci ricorda i modelli Ellington-iani o al massimo quelli di Tristano, che cerca la composizione, pensa a colmare in maniera intelligente gli spazi musicali dovunque si trovino per evidenziare lo scopo del suo intervento, ossia la necessità di dare un filo conduttore agli eventi “culturali” della sua Cuba florente di personaggi illustri e spesso misconosciuti con la voglia di evidenziare come questa letteratura di vita (non completamente riscoperta) possa ancora aprire la nostra mente ad orizzonti colorati, senza filtri, in presa diretta con la natura e la spiritualità degli uomini. E’ questo il senso di un disco notevolissimo che vede nelle poesie snocciolate all’interno dei brani del poeta/percussionista cubano Romàn Dìaz il suo principale attracco al jazz statunitense. In “Continuum” vi è un perfetto lavoro di equilibrio strumentale con una particolare menzione alla sezione ritmica (costituita dal veterano mai domo batterista Andrew Cyrille e dal bassista Ben Street) che conferisce riflessione e misticità a questo jazz interagente con la poetica e con la pittura; il disegno in copertina, del pittore/scultore Alberto Lescay sembra accogliere una particolare condizione di astrattismo che contrasta con il naturale abbinamento che viene fatto nelle due arti accostando l’espressionismo astratto con il free-jazz e le sue estensioni; in realtà se fate un pò di ricerca nell’attività di Lescay vi renderete conto di come l’artista abbia scelto un astrattismo integrato con figurazioni che riportano agli uomini “cubani” importanti (anche quelli delle vecchie tradizioni indigene), allo spirito che unisce idealismo e potenza sovversiva; e così che si intravede il “free” leggero di Virelles.
“Continuum” non vi offrirà assoli pianistici strabilianti, ma vi darà l’impressione di trovarvi di fronte a qualcosa che ha una forza innata di rimanere inviolabile nel tempo.