This music was inspired by the interplay of light and shadow, in both the literal and figurative senses. Each is necessary to the other, like Daoism’s yin and yang or Empedocles’ Love and Strife. In opposition, they create a drama of contrast and contradiction. Mixed together, they produce a spectrum of shadings in varying proportions. The same holds true of music: Tone, amplitude, density and above all mood as encoded in harmony find parallels in the different degrees of admixture of dark and light. At the center is an opalescent zone in which opposites are subsumed and conserved at the same time.
dalle note interne di “A cast of shadows”
Il secondo episodio discografico dei Colla Parte, il trio di Barbiero (cb), O’Meara (vb, perc) e Conticchio (sax, fl.) riprende nel titolo la linea “artistica” che già aveva costituito l’oggetto delle osservazioni musicali di “Fields and figures”: qui, al posto dei campi figurativi, il tema viene riversato sui contrasti della materia ed in particolare quelli dei contrasti luminosi. A dir il vero siamo di fronte ad un impianto musicale dove è necessario un ulteriore accorgimento prima di comprendere le idee dei tre musicisti, ed è quello di riuscire a penetrare in quelle due zone di ombra e luce, anche senza un loro netta distinzione; una volta fatto questo una miriade di attori e relazioni (indotti dalla capacità della musica di creare queste figure) si muoveranno all’interno di queste zone, restituendo una dignità magnifica agli strumenti. “A cast of shadows” è composto da tre composizioni iniziali in cui il processo di trasformazione della materia (da luminosa ad opaca e viceversa) si delinea con suoni in linea con le esperienze musicali del gruppo costruendo un’appendice di “Field and figures“; mentre la title-track, una composizione “libera” di 35 minuti circa (il corpo dell’opera) rappresenta approfondimento e nota di variazione rispetto alle dinamiche usuali.
Il lavoro di O’Meara è ancora più calibrato del solito, un sostegno intermittente e variabile alla free form del trio, quello di Barbiero (specie nella parte iniziale del brano) è un dialogo che vi pensare al Beethoven camerale totalmente insabbiato nella libertà di esposizione, mentre a Conticchio viene affidato il compito più difficile, ossia quello di rappresentare la gamma naturalmente più incline ad assecondare le tendenze espressive delle sensazioni musicali attraverso un uso mediato degli strumenti, che cerca atmosfere che si riportano in un compartimento obbliquo in cui si ascoltano le pause da club del jazz di un Dexter Gordon, le dinamiche dei suonatori free con le loro aperture concrete alle dissonanze. In definitiva, “A cast of shadows” diventa un “flusso” musicale, qualcosa di riascoltabile all’infinito, senza pause digressive, un insieme di idee che pur restando nel confine tra free jazz, musica creativa e libera improvvisazione, tendono ad istituzionalizzare quel passaggio graduale tra luce e oscurità dandone una personale riesposizione.
Il lavoro di O’Meara è ancora più calibrato del solito, un sostegno intermittente e variabile alla free form del trio, quello di Barbiero (specie nella parte iniziale del brano) è un dialogo che vi pensare al Beethoven camerale totalmente insabbiato nella libertà di esposizione, mentre a Conticchio viene affidato il compito più difficile, ossia quello di rappresentare la gamma naturalmente più incline ad assecondare le tendenze espressive delle sensazioni musicali attraverso un uso mediato degli strumenti, che cerca atmosfere che si riportano in un compartimento obbliquo in cui si ascoltano le pause da club del jazz di un Dexter Gordon, le dinamiche dei suonatori free con le loro aperture concrete alle dissonanze. In definitiva, “A cast of shadows” diventa un “flusso” musicale, qualcosa di riascoltabile all’infinito, senza pause digressive, un insieme di idee che pur restando nel confine tra free jazz, musica creativa e libera improvvisazione, tendono ad istituzionalizzare quel passaggio graduale tra luce e oscurità dandone una personale riesposizione.